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Turisti rapinati in Kenia. il mio commento a Radio Marconi


Radio Marconi mi ha intervistato, per la rubrica l'Opinione, a proposito della notizia di alcuni italiani rapinati in Kenia nei giorni scorsi. Ecco il testo del colloquio.

Tutti i giornali riportano la notizia. E' già la seconda volta che fatti come questi capitano in quei luoghi. C'è quindi un allarme particolare?
La prima considerazione è che ancora una volta si parla di estero soltanto per fatti di delinquenza. Non sottovaluto, né sminuisco, e
tanto meno giudico in modo superficiale quanto è accaduto in Kenia. Ma nelle nostre città capitano ogni giorno fatti ancor più gravi... Voglio dire soltanto che dovremmo dare la giusta misura alle cose. E che non è corretto metter la croce addosso ad una zona del mondo perchè sono accadute due rapine in 15 giorni! A Milano ne hanno fatte di più.

Il taglio della notizia è “vacanziero”: turisti rapinati a mano armata. Secondo lei è un approccio corretto oppure c'è dell'altro?
Vorrei riportare l'attenzione sulla questione che sembra specifica, ma che in realtà non lo è: quella del turismo in Paesi come l'Africa. Dove le ricchezze naturali non mancano, ma dove i problemi sociali sono pure presenti. Non è possibile fare finta di niente. E procedere per strade parallele. Alla fine la conflittualità sarà inevitabile.
In genere i cosiddetti “villaggi vacanze” o più sommariamente i “quartieri per stranieri” - parlo in maniera ampia, non solo del fatto di cronaca di oggi, ma realistica - sono isole di occidente inserite in contesti diversi. Il turista lì mangia pastasciutta, parla italiano, anche se è a 12 ore d'aereo dall'Italia... Il suo contatto con il territorio è l'uso dell'habitat naturale.
Lasciando, e in qualche caso aumentando, lo squilibrio sociale. Questo, prima che un modello economico/turistico, è un modello culturale fondato sulla difensiva. Tanto è vero che si invoca più polizia a tutela di queste strutture. Il modello però non regge. E provoca violenza.

Ma il turismo, si dice, porta sviluppo. Andrebbe allora frenato?
Sono certo che il turismo sia un volano per l'economia di un paese. Faccio questo di mestiere e so le potenzialità. Tuttavia bisogna riconoscere che in questo momento il turismo nei Paesi terzi porta poco alla economia reale e diffusa; molto più porta alla finanza. Tanti soldi liquidi non è detto che facciano la felicità di molti o che siano investiti per l'elevazione della popolazione locale.

C'è la possibilità di fare un turismo diverso?
La notizia che stiamo commentando oggi mi lascia ancor più l'amaro in bocca perchè compare su tutti i giornali, senza un minimo di quadro come stiamo cercando di fare qui. E senza accenno a quella moltitudine di bel turismo, nelle stesse zone del mondo e con la stessa gratificazione anche per gli utenti, fatto però con criteri partecipativi. La notizia ci sarebbe, quindi.
Penso alle diverse Organizzazioni non governative che hanno aperto asset di sviluppo turistico nei loro progetti; penso alle chiese locali che sono impegnate anche in questo settore. Alla Bit la scorsa settimana abbiamo presentato un progetto in Zambia e uno in Albania. Quando si parla di cooperazione internazionale - per nulla citata nella campagna elettorale in corso - si parla quindi anche di vacanze. E di vacanze sicure.

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