Si
conclude oggi a Varsavia l’incontro del Comitato congiunto del
Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (Ccee) e della
Conferenza delle Chiese europee (Kek). Tre giorni intensi di
confronto e dibattito con l’aiuto di esperti e scambio di
esperienze sul campo su “I nuovi movimenti cristiani in Europa:
sfide o opportunità”: una presenza stimata nel nostro continente
attorno ai 20 milioni di aderenti. A margine e a
conclusione
dell’incontro, Maria Chiara Biagioni, inviata di Sir Europa a
Varsavia, ha intervistato il cardinale Péter
Erdő,
arcivescovo di Esztergom-Budapest e presidente del Consiglio delle
Conferenze episcopali europee.
Eminenza,
il fenomeno dei nuovi movimenti cristiani in Europa è una sfida o
un’opportunità?
“Abbiamo
sentito diverse relazioni da cui emerge che anche all’interno del
processo di secolarizzazione in atto in Europa si sente un chiaro
bisogno religioso e che ci sono movimenti che rispondono a questi
bisogni a modo loro. Sono movimenti molto diversi tra loro, composti
per lo più da gruppi pentecostali ed evangelicali. Ci sono Paesi,
come nell’Est europeo, in cui alcune di queste denominazioni
cercano consenso anche attraverso l’offerta di lavoro e
sistemazione che la gente accetta, a costo poi di restituire nella
forma della donazione una parte notevole del salario”.
Cosa
si cela dietro il successo di questi movimenti?
“Non
sono convinto del tutto che questo successo sia collegato
esclusivamente con il bisogno di Dio. Sembra piuttosto un bisogno
immediato di sentirsi bene, di avere un’esperienza spirituale
straordinaria, o magari semplicemente indipendente da una religione
storica. Ma la nostra fede è collegata con la persona di Gesù
Cristo da cui abbiamo ricevuto la pienezza della rivelazione divina.
Noi non siamo una religione filosofica o emozionale, ma una religione
che dipende storicamente dalla Rivelazione”.
Sembra
emergere, però, una certa difficoltà ad aderire a una religiosità
più impegnativa...
“Bisogna
capire che cosa intendiamo per impegnativa perché anche chi è
pronto a pagare il 25% del proprio salario ogni mese, s’impegna in
qualche forma. Però è vero che dalle nuove comunità escono anche
in molti. Le statistiche sono chiare e dimostrano una grande
fluttuazione che per le Chiese storiche non è così tipico. Sono
molti coloro che fuoriescono e lo fanno per diversi motivi. Perché
si accorgono che quanto promesso, per esempio, non si avvera. O
perché muore il leader o il fondatore. In questi movimenti il leader
religioso gioca un ruolo straordinario e quando muore non rimane
molto dietro di lui e il movimento fondato sembra perdersi. Stiamo,
comunque, parlando di esperienze religiose dirette e immediate. In
diversi gruppi si praticano le guarigioni oppure la profezia, o
ancora la lotta contro il demonio e l’esorcismo. Sono fenomeni
presenti anche nella nostra Chiesa, ma non in modo così
spettacolare. E comunque del tutto marginale. Sembrano invece avere,
in questi contesti, una grande attrattiva”.
Perché?
Cosa cercano le persone in queste esperienze?
“Cercano
appunto esperienze, impressioni momentanee, perché oggi viviamo
nella cultura del sentirsi bene. È questo che la maggioranza cerca.
Viviamo in un contesto in cui sta sempre più emergendo il culto del
‘feeling’ che può avere anche un aspetto spirituale e religioso.
Esso non presuppone necessariamente un contenuto logico. Ma noi non
dobbiamo vergognarci per la logicità della nostra fede perché
esprime la fondatezza del nostro credere”.
Come
rispondere alle attese di queste persone?
“Da
anni, la Chiesa cattolica è impegnata nella nuova evangelizzazione,
nella rinnovata missione, nella presa di coscienza di ogni cristiano
di ridire all’uomo di oggi il Vangelo. La Chiesa sente, quindi, con
forza l’urgenza di trasmettere l’esperienza gioiosa della nostra
fede, anche attraverso le nostre comunità, o attraverso la musica,
l’arte, la danza. Bisogna anche trovare linguaggi nuovi,
rispondendo in qualche modo anche alla grande sensibilità delle
persone per l’audiovisivo”.
I
nuovi movimenti stimolano quindi le Chiese storiche cristiane ad
avere una maggiore creatività. È così?
“Certo,
lo stanno facendo e lo si può vedere anche nei movimenti nati
all’interno della Chiesa cattolica che propongono un’esperienza
di Chiesa più gioiosa, più missionaria, mantenendosi però e sempre
in rapporto di profonda comunione con l’insieme di tutta la Chiesa.
I fondatori dei movimenti interni alla Chiesa cattolica capiscono
molto bene la necessità di questo aggancio”.
Cosa
succede se questo aggancio viene meno?
“Sparisce
il contenuto, e comincia a vacillare l’atteggiamento morale, la
composizione della comunità stessa. Si perde la cosa più preziosa:
la connessione con la Grazia. Con conseguenze registrabili anche a
livello sociologico”.
Con
quale impegno le Chiese cristiane partono da Varsavia?
“Abbiamo
preso atto della necessità di essere più missionari. Sebbene non ci
sia ancora la piena comunione tra loro, le Chiese cristiane sentono
la necessità di essere solidali nella missione. Di questa
solidarietà dobbiamo ancora trovare forme concrete ma dobbiamo
ridire Gesù Cristo all’Europa e dirlo possibilmente e sempre più
insieme”.
Commenti