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Il vescovo Luigi Padovese, vicario apostolico dell’Anatolia, è uno dei 23 operatori pastorali uccisi nel corso del 2010 |
Oggi - 24 marzo - è la giornata dedicata alla preghiera e al digiuno in memoria dei "missionari martiri" (sul sito www.operemissionarie.it riflessioni e sussidi). Una celebrazione annuale non rituale, se si pensa che lo scorso anno sono stati 23 gli operatori pastorali uccisi in vari Paesi del mondo. La giornata è ispirata al sacrificio di mons. Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo di San Salvador, ucciso il 24 marzo 1980. Da allora, come ricorda la Fondazione Missio, la Chiesa italiana celebra la giornata di preghiera e digiuno facendo memoria dei missionari martiri e "di quanti ogni anno sono stati uccisi solo perché incatenati a Cristo. La ferialità della loro fede fa di questi
testimoni delle persone a noi vicine, modelli accessibili, facilmente imitabili". Nel sito mgm.operemissionarie.it del Movimento giovanile missionario è possibile trovare materiale di animazione e documentario, per offrire contenuti di preghiera e documentazione alle parrocchie e gruppi giovanili che vogliono rispondere all'appello di pregare in favore delle missioni e in memoria dei "martiri" della fede e dell'annuncio missionario. Quest'anno, tra l'altro, l'opinione pubblica mondiale è stata molto colpita dalla morte violenta di Shahbaz Bhatti, l'unico ministro cristiano del governo del Pakistan, ucciso alcune settimane fa a motivo della sua difesa dei diritti civili e di libertà religiosa, gravemente minacciati dai fondamentalisti nel suo Paese.
Il tema di quest'anno. Scrive al riguardo don Gianni Cesena, direttore nazionale della Fondazione Missio, partendo dal tema della XIX giornata: "Restare nella speranza": "Il tema della speranza è stato rivisitato spesso nell'ultimo decennio con esplicito riferimento al nostro continente europeo: lo si è fatto per segnalare che la speranza sembra lasciare i nostri paesi e le nostre città, che i giovani rischiano sempre più di consegnarsi all''attimo fuggente' privo di futuro, che le stesse comunità cristiane si ripiegano al loro interno senza annunciare più il futuro di Dio, che solo può illuminare il presente". Don Cesena sottolinea che "arruolare i martiri sotto il segno della speranza è certamente un'impresa ardita: il martire è per definizione colui che vede interrotta in maniera brusca una parabola di vita, spesso un'esistenza densa di sapienza, di amore, di dono di sé. Il martire in ogni caso porta con sé uno scandalo, come una prova fatale che Dio propone a lui, ai suoi amici, alla comunità che assiste attonita alla sua eliminazione. Se è un missionario pare che la missione stessa si blocchi".
Sorgenti di fiducia. "Il martire tuttavia non resiste solo nella memoria commossa di chi lo ha conosciuto o nel ricordo dei suoi gesti e insegnamenti: il martire resiste in Cristo - prosegue il direttore della Fondazione Missio -. In tal modo diventa segno e fonte di speranza: non ci istruisce tanto la sua morte, ma la vita che prima ha vissuto in nome e per conto del Vangelo e ora la vita che sperimenta nel suo compimento, cioè nella relazione salda e definitiva con Gesù, il Crocifisso Risorto". Secondo don Cesena, "questo sguardo - che i teologi qualificano come 'escatologico' - non isola il martire, ma lo restituisce ai suoi amici, a chi lo ha conosciuto, a chi ne sente parlare. Non solo il suo passato, ma anche il suo presente è giudizio sul nostro cammino di Chiesa e di missione, è sostegno nelle difficoltà, è regola di vita su ciò che i cristiani devono fare o evitare. Nello scandalo dell'apparente assenza, il martire diventa fondatore di nuove speranze, sorgente di fiducia, messaggio che supera il tempo e lo spazio, Parola preziosa per rinnovare la Missione".
Chi c'è "dietro" ogni martire. Tra i testi che supportano la preparazione alla giornata dei missionari martiri, si sottolinea come "l'amore dei missionari martiri per i valori evangelici di giustizia, pace, libertà, fratellanza, ci fa ripensare alla nostra vita, al nostro essere cristiani, alla coerenza delle nostre scelte: le missionarie e i missionari uccisi ci stimolano a vivere il Vangelo seriamente e integralmente dando la nostra bella testimonianza nell'ambiente in cui viviamo e operiamo". Ecco quindi che "fare memoria dei martiri è acquisire una capacità interiore di interpretare la storia oltre la semplice conoscenza. (...) I missionari uccisi per causa del Vangelo ci ricordano che non è più tempo per attese vuote e incoscienti".
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