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I prof: studenti incontrollabili, basta con le gite scolastiche

«La più memorabile è stata quella ad Amsterdam. Una studentessa tornò incinta. E quando non c’è di mezzo il sesso, ci sono altri problemi: in gita girano droga, alcol, i ragazzi sono ingestibili. L’errore più grande? Chiuderli in camera. Si calarono dal balcone». Da quella volta A. P., insegnante in un liceo milanese, ha detto basta. «Mai più in viaggio di istruzione». Una decisione ormai comune a moltissimi professori. Via dalla gita. Troppe responsabilità — penali e civili — troppe ore di sonno saltate, troppi rischi. Il ragazzino ubriaco in spiaggia (con relativa congestione), i compagni che fanno a botte con i coetanei di altre scuole, le adolescenti che passano la
notte fuori, quella trascorre la mattinata a vomitare. No, non è il Bronx. Chi conosce bene gli adolescenti sa che queste scene possono ripetersi ogni volta che si parte. E la conseguenza — denunciano i presidi — è che rispetto a soli dieci anni fa gli accompagnatori «sono dimezzati».
Michele D’Elia, a capo dello scientifico Vittorio Veneto, non si scompone: «È ovvio che le cifre si siano ridotte: per portare in gita i ragazzi prendiamo a un euro all’ora, non ci viene riconosciuto il lavoro notturno e in più la gente pensa che siamo in vacanza. Ma si sbaglia: ci vogliono nervi d’acciaio per portare in giro una classe». Al Vittorio Veneto la metà dei professori ha firmato un documento: «Niente gita finché non saranno riconosciuti i nostri diritti». Paradosso: «Secondo un capitolato del ’92 l’accompagnatore dovrebbe controllare la rasatura delle gomme del bus. Se succede qualcosa e non era tutto in regola, la colpa è sua».
Mille precauzioni. Luca Azzolini del Frisi: «Non mando docenti che conosco poco». E ancora: «Un mese prima di partire iniziano le raccomandazioni». Oppure: «Io li tengo svegli tutta notte per stancarli»; «Portiamo solo quelli di quinta». Ma il pericolo è sempre in agguato. Sbronze, incidenti, scherzi mal riusciti. «È difficile evitare tutto questo», sospira Giacomo Merlo, del professionale Albe Steiner. «Viviamo in una società abituata allo sballo. Il controllo è possibile fino a un certo punto». E i ragazzi, aggiunge Carola Feltrinelli, a capo del Moreschi, «non sono educati ad affrontare questa esperienza. Per questo i docenti che li accompagnano sono sempre meno». «E non hanno torto», conclude Riccardo Grimaldi del Marelli.
Pochi eroi rimasti. Carlo Columbo, preside del Porta, ammette: «C’è uno zoccolo duro che crede ancora al valore educativo della gita e lo fa con spirito missionario». Tutti gli altri rinunciano. «È naturale — aggiunge Carlo Pedretti, preside del Parini —: se hanno i figli piccoli non possono muoversi. Stessa cosa se hanno i genitori anziani». Ribatte Giorgio Castellari del Vittorini: «I motivi di famiglia sono spesso una scusa: la verità è che non vogliono rischiare». Meglio non partire. eppure Rodolfo Rossi, preside del Giorgi, ha una ricetta anti-sorprese: «Soggiorni in famiglia (i ragazzi sono più controllati), scelta ragionata dell’albergo (evitare quelli enormi pieni di ragazzi italiani che assaltano le stanze di compagne consenzienti) e, per i più piccoli, agriturismo». Lui giura: «Così si contengono i rischi». E rilancia: «Portiamo in gita anche i lavoratori del serale. Quest’anno andiamo in Tunisia».

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