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Padre George durante una vacanza in Italia |
All'ora di pranzo la tv annuncia: un'altra strage di cattolici in Nigeria durante la messa. È domenica. Anche a Bresso abbiamo appena celebrato. Anzi, ha celebrato proprio il nigeriano padre George Emeka Ekwuru*, clarettiano, in Italia per qualche giorno. A tavola con lui le nostre domande non possono che essere incalzanti.
Non è la prima volta
che sentiamo episodi del genere. Alcuni rimandano a motivazioni
politiche, altri a cause etnico-religiose. Ma che cosa c'è dietro?
La situazione è davvero
pesante. Le azioni di terrorismo sono portate avanti da un gruppo
fondamentalista islamico: Boko Haram (che significa “l'educazione
occidentale è male”). Combattono i
cristiani perché secondo loro
sono il segno più evidente del legame con l'occidente. In realtà
loro combattono tutti i simboli occidentali. Il gruppo è minoranza
nel Paese ma ha una violenza cieca. Il governo è debole, anche se
nell'esecutivo sono presenti ministri cristiani. Con questi fanatici
non si può minimamente dialogare. Non vogliono farlo. Quando manca
il dialogo non è possibile alcuna forma di riconciliazione. Quando
capita qualche eccidio qualche imam dice parole di solidarietà nei
confronti dei cristiani, ma anche questi islamici moderati devono
stare attenti perché ne va della loro vita.
La Chiesa cattolica
tuttavia è quella che paga di più. Siete impauriti? Avete cambiato
abitudini?
La paura c'è. È cosa
umana. Ma i cristiani continuano ad andare a messa poiché sanno che
il sangue dei martiri è seme per la Chiesa stessa. Ringraziamo
l'occidente che ci ha fatto conoscere il cristianesimo. Ora però noi
lo viviamo non perché voi ce ne avete parlato ma perché è
diventata nostra carne. I nostri seminari sono pieni. Cerchiamo di
fare un discernimento rigido; sappiamo infatti che la povertà può
portare anche a scelte avventate. Tuttavia i candidati al sacerdozio
rimangono sempre tanti. Vorrà dire qualcosa. O no?
Il problema dei
fondamentalisti islamici si aggiunge ai tanti problemi che in Africa
si trascinano. Come uscirne?
L'Africa deve tornare a
sognare. Ha bisogno di una visione del futuro. Quando Giovanni Paolo
II venne in Nigeria disse: “Africa, alzati e cammina”. È questa
autonomia di volontà e di pensiero che dobbiamo recuperare.
Purtroppo, tra le diverse forme di impoverimento dell'Africa, c'è
anche quella dei “cervelli”. Gli africani che hanno avuto
possibilità hanno studiato soprattutto all'estero; e lì se ne
stanno interessandosi poco del loro Paese. L'occidente poi non ha
alcun interesse a che l'Africa si scelga un futuro. Dobbiamo
reclamarlo noi. Dalla povertà si esce con un progetto. Gli africani,
purtroppo, per via dei problemi materiali pensano poco. Per questo,
tra i miei compiti missionari, c'è pure quello del servizio alla
cultura.
Cultura e carità. Che
cosa viene prima, quale l'urgenza?
Quando sono tornato,
finiti gli studi di filosofia a Roma, mi interessavo poco della
povertà del mio Paese. Ritenevo che prima si dovessero creare le
basi teoriche per uno sviluppo e poi lo sviluppo sarebbe venuto da
sé. Col passare del tempo invece, pur non abbandonando gli studi e
l'insegnamento per quanto dicevo prima, mi sono sempre più immerso
nella realtà. Collaboro pastoralmente con una parrocchia povera e
vado con i seminaristi al mercato a chiedere aiuti. In genere i
poveri danno di più, i ricchi sono più tirchi.
Poiché il riscatto
dell'Africa avverrà tra secoli, sono sempre più convinto che
salvare la vita anche solo ad un bambino bisognoso sia un compito da
assumersi subito. Se alla fine della mia vita avrò aiutato dieci
bambini potrò dirmi contento. La cultura della vita è cultura nel
senso pieno.
Lei che è un
accademico non prova fatica a sporcarsi le mani nel senso letterale?
Mi dedico - seppure con
sforzo, poiché io passerei i giorni sui libri - alla raccolta di
aiuti attraverso diverse iniziative anche in Italia. So che è
difficile, pure in occidente, soprattuto di questi tempi. E lo faccio
con imbarazzo poiché non è degno per un uomo chiedere. Ma lo faccio
a nome di tutti i miei fratelli africani che con lo stesso imbarazzo
si rivolgono a me. Quando un uomo chiede vuol dire che si è
annullato. Ma non sapete la gratificazione che si prova quando si
incontra qualcuno a cui è possibile andare incontro e risollevarlo,
attraverso la risposta al bisogno materiale, dal suo annullamento.
Ci può fare un
esempio per spiegarsi meglio?
Recentemente mi sono
recato in un quartiere povero per portare aiuti. Lì c'era una mamma,
senza marito, che stava morendo. Era attorniata da tutti suoi figli.
Il più piccolo appena mi ha visto mi è saltato in braccio - sporco
e maleodorante - e si è addormentato. Aveva ritrovato la serenità
necessaria per poter almeno dormire.
Proprio a Bresso
abbiamo appena celebrato l'Incontro mondiale delle famiglie. Quale la
situazione in Nigeria riguardo questo tema?
Tra i cristiani la
famiglia è quella tradizionale. Tra i musulmani invece c'è anche la
poligamia. È permessa per legge. Il divorzio non è una realtà;
solo nelle città c'è qualche caso, ma resta eccezione. La
convivenza prima del matrimonio non esiste. Il dibattito accademico
sui temi presenti in occidente però c'è: matrimonio tra persone
dello stesso sesso, ecc. Sia gli intellettuali sia i teologi stanno
ragionando e motivando la gente del perché questo modello
occidentale non è cosa buona. L'Incontro mondiale delle famiglie
anche noi l'abbiamo seguito con interesse, è stata una occasione di
ripresa di questi argomenti.
Massimo Pavanello
* George è originario
della Nigeria. Padre dell’ordine dei Clarettiani, conosce l’Italia
nel periodo dei suoi studi a Roma.
Filosofo e
antropologo, attualmente è impegnato nella formazione di seminaristi
e nella gestione della cattedra di filosofia presso l’università
di Owerri nella regione Imo State (Nigeria).
Studioso e autore di
diversi libri riguardanti l’Africa, il suo sogno è quello di
riuscire a promuovere e divulgare il pensiero a favore del
continente, ovvero l’Afrizelotismo... tale filosofia vuole
rivoluzionare il rapporto della persona africana con la sua
condizione di indigenza, invitando ognuno a prendere coscienza delle
proprie capacità come singolo individuo (zelo) al fine di
risollevare il continente dalle sue difficoltà storiche.
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