Sono passati sei anni e sembra ieri.
Si dice sempre così quando si ricorda qualcosa o qualcuno che ha lasciato una traccia nella propria vita.
Forse è un luogo comune. Forse no. Ci può essere un messaggio importante anche dietro parole apparentemente rituali o scontate.
La sera del 2 aprile 2005 la notizia della morte di Giovanni Paolo II non è stata improvvisa e neppure imprevista.
La speranza che potesse superare l'ennesima prova è sempre stata viva, come sempre è viva la speranza di
ripresa per ogni persona malata, sofferente o anziana.
Ma in quei giorni di primavera la speranza aveva scelto anche un'altra direzione.
Aveva portato il pensiero della gente oltre le piazze e le strade, là dove il "duc in altum" prende consistenza, diventa avventura, si colora di bellezza.
Sono passati sei anni e sembra ieri.
Giovanni Paolo II ha insegnato a vivere e ha insegnato a morire, si è detto in quei giorni e si ripete anche oggi.
Forse il suo magistero è andato oltre.
Ha insegnato, a credenti e non credenti, che la vita può diventare un'esperienza di eternità.
Non un sogno per estraniarsi dalla complessità e dalla provocazione della cronaca ma un progetto e un percorso per stare dentro la quotidianità da messaggeri e testimoni di speranza.
Non per nulla aveva chiamato "un atto di amore alla città" la missione di popolo che aveva indetto nella sua diocesi di Roma: un'espressione per richiamare lo stile cristiano del pensare e dell'abitare gli spazi e i tempi condivisi con tutti e ovunque.
Abitare, nel suo vocabolario, voleva dire condividere le fatiche e le attese della gente, preoccuparsi di rendere sempre più giusta e accogliente la casa comune e, nello stesso tempo, ravvivare il desiderio e la ricerca di cose grandi vincendo la tentazione della mediocrità.
Sono passati sei anni e sembra ieri.
Si continuerà giustamente a dire che Giovanni Paolo II è stato il Papa dei giovani anche se in più occasioni ha egli stesso affermato di essere guidato da loro: anche la Gmg è stata la sua risposta alla domanda delle nuove generazioni.
È stato un padre che ha chiesto ai giovani di crescere, di diventare adulti ed è arrivato, con la sua umiltà, a chiedere loro un aiuto per la propria crescita.
Nel tempo della riscoperta dell'educazione come via maestra verso il futuro, la lezione di papa Wojtyla appare non in tutta la sua straordinarietà ma in tutta la sua semplicità.
È importante prendere consapevolezza che proprio la sua testimonianza porta a dire che per un cristiano non esiste la straordinarietà.
L'aggettivo straordinario non dovrebbe esserci nel vocabolario di un cristiano.
Esiste la fedeltà totale, serena e operosa alla Parola.
Quella fedeltà che anche la sera del 2 aprile 2005 ha preso il volto di un Papa.
Sono passati sei anni e sembra ieri.
Forse è un luogo comune, Forse no.
Sei anni come un soffio, quel soffio che muoveva le pagine del libro del Vangelo sulla bara adagiata sul sagrato della basilica di san Pietro.
L'immagine biblica della brezza leggera richiama il dialogo tra il tempo e l'eternità.
Un'esperienza che lascia senza parole.
Lo si vivrà ancora una volta, questo dialogo, domenica 1° maggio: lo si vivrà anche in quell'abbraccio invisibile e tenerissimo tra Benedetto XVI e Giovanni Paolo II.
Paolo Bustaffa
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