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Capi cristiani contro Israele: Ingiusti divieto al vescovo e nuove tasse

I capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme si schierano contro il governo d’Israele che ha negato il permesso di residenza nella città al vescovo anglicano (episcopaliano) Suheil Dawani. Allo stesso tempo, essi protestano contro rinnovati tentativi del governo di imporre nuove tasse alle Chiese, un fatto escluso dall’Onu, mai successo per secoli e nemmeno agli inizi dello Stato d’Israele. In un comunicato diffuso in questi giorni, i capi delle Chiese (che comprendono patriarchi, vescovi, responsabile della Custodia di Terra Santa) difendono “il diritto di libertà religiosa” del vescovo
Dawani “di risiedere con la sua famiglia nella città santa”.
Mons. Dawani è nato a Nablus in Cisgiordania e a Gerusalemme est (dove si trovano la cattedrale e la curia anglicana) è considerato uno “straniero” – in un territorio occupato da Israele - e potrebbe risiedervi solo con un permesso speciale che il ministero israeliano degli interni gli ha negato (v. 25/02/2011 Revocato il permesso di soggiorno al vescovo anglicano di Gerusalemme ).
I capi delle Chiese sono “profondamente preoccupati” dalla decisione ministeriale perché esso costituisce “un precedente nel tentativo delle autorità israeliane di negare la residenza in Gerusalemme al capo di una delle Chiese della città santa” (cfr. Holy Land Churches support Anglican Bishop in Jerusalem ).
Secondo informazioni raccolte da AsiaNews ci sarebbe già anche un altro prelato cristiano, minacciato di espulsione da Gerusalemme per “reati di opinione”.
In questi giorni, i capi delle Chiese hanno diramato anche un altro comunicato in cui lamentano “nuove mosse delle autorità israeliane di imporre tasse municipali di proprietà (Arnona) su edifici e proprietà ecclesiastici” e giudicano questa politica “un’azione aggressiva”.
Essi ricordano che tali imposizioni “si distaccano in modo radicale dalla pratica di ogni Stato precedente che ha governato la Terra Santa, compresi l’impero ottomano, il Mandato britannico, il regno hashemita di Giordania e lo stesso Stato d’Israele”.
La nuova politica aggressiva è anche “in diretta contraddizione con il mandato dell’organizzazione delle Nazioni Unite” alla fondazione dello Stato d’Israele (Risoluzione 181 del 29 novembre 1947), che si applica a Gerusalemme e “ai due Stati nazionali che esso [l’Onu] ha autorizzato a stabilire nella Terra Santa”.
“Tali nuove imposizioni – affermano i leader cristiani – contraddice anche le solenni promesse fatte alle Chiese dai successivi governi israeliani, e confermati in particolare dopo la guerra del giugno 1967”.
“Ogni persona di buona volontà – continua il comunicato – potrà comprendere che la brusca imposizione di nuove tasse alle Chiese cristiane può avvenire a spese delle capacità a mantenere la loro presenza in Terra Santa e a continuare il loro ministero nella cura pastorale, educazione, bisogni sociali e sanità” (cfr. Holy Land churches protest against Israeli tax move ).
La difesa del permesso di residenza al vescovo anglicano e la critica alle nuove tasse sono legate: secondo informazioni di AsiaNews, alcuni prelati sono stati minacciati di espulsione da Gerusalemme se non ritirano la loro adesione dalla critica verso le nuove tasse. Per questo i pastori cristiani sono profondamente preoccupati.
I capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme comprendono: il patriarca greco-ortodosso, il patriarca latino, il patriarca armeno, il Custode di Terra Santa; gli arcivescovi e vescovi della Chiesa cattolica armena, copta-ortodossa, ortodossa etiope, greco-cattolica, maronita, siro-ortodossa, siro-cattolica, anglicana e luterana.
Joshua Lapide, Asianews

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