“Dopo l’emergenza, quando più di 6.000 migranti convivevano con i 5.000 abitanti dell’isola di Lampedusa, adesso pare che sia tornata la quiete. Ma viene da chiedersi se questa assenza dei migranti sia davvero silenziosa o piuttosto abbia qualcosa da dirci”. È quanto afferma il direttore della Caritas diocesana di Agrigento, Valerio Landri, da domenica 10 aprile a Lampedusa, ritornato nell’isola delle Pelagie dopo i giorni di acuta emergenza che si sono vissuti nelle settimane passate.
Ritorno alla normalità? “La comunità ecclesiale di Lampedusa – dice il direttore – è ritornata alle sue
ordinarie attività: la catechesi, le prove del coro, gli incontri dei gruppi ecclesiali... ma si porta dentro un vuoto che l’assenza dei migranti ha generato. Sembra assurdo, ma è così. In tanti, soprattutto quanti si sono adoperati per l’accoglienza dei migranti, adesso sentono nel cuore come un vuoto: dopo aver sperimentato la gioia dell’incontro, del donare, del darsi all’altro, adesso la tranquilla vita di ogni giorno sta stretta. D’altronde questa è la stessa sensazione che si porta nel cuore ogni uomo che ha avuto la grazia di sperimentare la gioia della carità, che dà il senso profondo dell’essere cristiani. Dopo aver sentito la voce di Cristo, il silenzio rischia di essere assordante”.
Un vuoto nel cuore. Riguardo alla vita dell’isola, Landri sottolinea che “è vero: le strade e le piazze di Lampedusa sono tornate ai lampedusani. È vero che non si assiste più a quelle scene indegne per un Paese civile: accampamenti improvvisati, uomini affamati, ammalati, privi di servizi igienici... in una situazione imprevista, anche se prevedibile, e ingestibile con i criteri ordinari del ‘modello Lampedusa’. È vero che adesso tutto pare sia tornato alla normalità. Ma dopo aver guardato in volto le migliaia di giovani tunisini, dopo aver visto la gioia nei loro occhi al momento dello sbarco, dopo aver raccolto le loro paure e speranze, dopo aver sentito la loro voce e condiviso le loro fragilità..., dopo aver pianto nel riconoscerli figli di un mondo che non ammette che essi possano sognare..., nulla potrà mai essere più come prima. Adesso il migrante ha un volto, un nome, una storia che, in qualche modo, si è incrociata con la nostra”.
La possibilità di sognare una vita migliore. Parlando della nuova situazione venutasi a creare dopo il 6 aprile, giorno in cui è stato firmato l’accordo tra Italia e Tunisi per i rimpatri, il direttore della Caritas di Agrigento sottolinea come nell’isola di Lampedusa restino solo gli ultimi arrivati, “in prevalenza destinati al rimpatrio: erano stati avvisati dai loro connazionali, ma hanno voluto provarci comunque”. Nel pomeriggio di martedì 12 aprile, “all'aeroporto di Lampedusa – racconta Landri – si sono vissuti momenti di agitazione: un gruppo di 30 migranti, in attesa di essere imbarcati su un aereo diretto a Tunisi, presidiati da un esercito silenzioso, hanno alzato l’ultimo disperato grido di aiuto, nella speranza che qualcuno, in Italia, abbia pietà di loro. ritornano nel loro Paese più poveri di quando sono partiti. Nel volto di tutti noi spettatori tanta frustrazione per la consapevolezza di non poter far nulla per raccogliere quel grido disperato”. Ora che tutto “pare essere tornato alla normalità”, conclude Landri, “ci si chiede quanto durerà: si guarda il mare e si riesce a vedere oltre l'orizzonte, immaginando una barca in arrivo, piena di uomini e donne in cerca di un futuro migliore. Il nostro pensiero va a tutti quelli che non ce l’hanno fatta, a tutti gli incontri che il mare ha impedito, a tutto ciò che il Vangelo c’impone di fare affinché anche dall’altra sponda del mare sia lecito a un giovane sognare una vita migliore”. Agensir
Commenti