Non è la
prima volta che il Papa torna su questo caso. Lo aveva già fatto
all'inizio del suo pontificato parlando, a braccio, coi preti della
Valle d'Aosta e reagendo ad una domanda specifica.
La mancanza
di fede potrebbe essere una causa di nullità matrimoniale. Questa la
sua tesi radicale che nulla lascia alle eventuali scorciatoie
giuridiche.
Se la pista
suggerita dal Papa fosse percorribile si aprirebbero scenari inediti.
Come, ad esempio, il foro di riferimento. Non sarebbe più quello
“esterno”, al quale portare prove oggettive, bensì quello
“interno”, della coscienza. In pratica, non un giudice soltanto
ma il confessore potrebbe concorrere alla dichiarazione di nullità.
Ciò può
sembrare un tecnicismo, ma in realtà sarebbe di una accessibilità
estrema dal punto di vista pratico e di una dirompente novità dal
punto di vista sacramentario.
Su
questo punto leggiamo la cronaca di Vaticaninsider che sunteggia le parole del
Papa rivolte oggi ai giudici rotali.
Il Papa
chiede ai giudici ecclesiastici e rotali «ulteriori riflessioni»
sulla mancanza di fede degli sposi come causa di nullità del
matrimonio. «Non intendo certamente - dice - suggerire alcun facile
automatismo tra carenza di fede e invalidità della unione
matrimoniale, ma piuttosto evidenziare come tale carenza possa,
benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio». Lo
ha detto il Pontefice alla Rota romana ricevuta in udienza per
l'inaugurazione dell'Anno giudiziario, con il decano, mons. Pio Vito
Pinto.
Il
matrimonio cattolico, per restare un sacramento, «non richiede la
fede personale dei nubendi; ciò che si richiede, come condizione
minima necessaria, è l'intenzione di fare ciò che fa la Chiesa».
Lo segnala il Papa a uditori, ufficiali e avvocati del Tribunale
della Rota Romana ricevuti in udienza nella sala Clementina per la
solenne inaugurazione dell'Anno giudiziario. «Ma - ha aggiunto
Benedetto XVI - se è importante non confondere il problema della
intenzione con quello della fede personale dei contraenti, non è
tuttavia possibile separarli totalmente».
Già
Giovanni Paolo II, ricorda il Papa, spiegò che un atteggiamento
degli sposi «che non tenga conto della dimensione soprannaturale nel
matrimonio può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul
piano naturale». «Circa questa problematica - ha chiesto papa
Ratzinger - soprattutto nel contesto attuale, occorrerà promuovere
ulteriori riflessioni».
Il Papa
segnala ai giudici rotali quanto «sia prezioso il sacrificio offerto
dal coniuge abbandonato o che abbia subito il divorzio, se, -
riconoscendo la indissolubilità del vincolo matrimoniale valido -
riesce a non lasciarsi coinvolgere in una nuova unione». Citando sia
Giovanni Paolo II che Tertulliano, Benedetto XVI rimarca l'esempio di
tanti sposi che vivendo «l'unione matrimoniale nella prospettiva
cristiana, sono riusciti a superare anche le situazione più
avverse».
Papa
Ratzinger ha inoltre voluto sottolineare il concetto di «bonum
coniugum»: «la fede - ha osservato - è importante nella
realizzazione dell'autentico bene coniugale, che consiste
semplicemente nel volere sempre e comunque il bene dell'altro, in
funzione di un vero e indissolubile consortium vitae».
L'«accentuato
soggettivismo e relativismo etico e religioso» della cultura
contemporanea, - con l'idea che un «legame che duri per tutta la
vita» «non corrisponda alla natura dell'uomo e sia piuttosto in
contrasto con la sua libertà e autorealizzazione» - rende difficile
comprendere il matrimonio cristiano.
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