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Guerra in Mali. Alcune mie considerazioni

Timbuctu. Famosa costruzioni di terra rossa,
patrimonio dell’Unesco
 
Quella in Mali è una “guerra senza immagini” e quindi “non esiste”. Pure sui social media la notizia è rimbalzata poco. O, almeno, non in tempo reale come si addice ai veloci new media. Ora che pure noi siamo chiamati in causa qualcosa si muove.
Due quindi le conseguenze: in occidente la gente non ne parla, la vive con una certa lontananza; in Mali, invece, la mancanza di immagini lascia spazio alla propaganda e le domande trovano solo risposte filtrate dall'una e dall'altra parte (chi combatte chi? quanti i morti civili? Ci sono fiumane di profughi in fuga?)
Ma è questa una guerra necessaria? Tutti i commentatori sono abbastanza concordi nel dire che questa guerra non poteva essere
evitata. È extrema ratio. Tanto è vero che ci sono coperture giuridiche internazionali per l'intervento francese. Un intervento unilaterale, e qui sta la critica, che solo dopo ha cercato di coinvolgere altre nazioni sia europee sia africane.
Ma, mi chiedo, prima dove era la comunità internazionale? La presenza problematica di questi gruppi fondamentalisti data da almeno un anno!
Ora la guerra porta con sé tutte le brutture di ogni guerra: l'economia ferma (e per l'economia di sussistenza come quella, significa fame subito); migliaia di profughi (dopo averne accolti tanti ora i paesi vicini hanno chiuso le frontiere; solo il Burkina Faso ha ancora un corridoio aperto), ecc. Una terra anche turisticamente appetita e visitata - per le note città di Djenne e Timbuctu, il grande fiume Niger, la popolazione Dogon - è oggi irraggiungibile.

Faccio tre schematiche considerazioni:
  • La guerra classica, quella fatta con l'aviazione e la fanteria, in questi casi non funziona. Quella Jiadista è una galassia di terrorismo. Lavorano in franchising. Tanto è vero che mentre si combatte in Mali, un gruppo associato ha rapito 41 occidentali in Algeria. Quindi il fronte non è fisico. La presenza di molte strutture per l'estrazione di idrocarburi in quelle terre offre poi possibilità ai terroristi di azioni eclatanti e basso prezzo.
  • La questione religiosa non è così determinante come si vuol fare apparire, anche se la storia dei Dogon, sfuggiti alla persecuzione musulmana nel XII sec., dice che certi problemi non sono nuovi. Ci sono gruppi che uccidono i cristiani, ma pure quelli che uccidono gli stessi musulmani ritenuti poco ortodossi. Tutti gli osservatori più attenti inoltre sostengono che questa cultura fondamentalista sia importata e non autoctona.
  • E, a proposito di “importazione”, nel bene e nel male non si può trascurare una riflessione sul colonialismo. In questi anni si stanno celebrando gli anniversari della indipendenza dei paesi africani avvenuta attorno agli anni '60. Una indipendenza però solo politica. L'Africa è rimasta terra di conquista economica, religiosa, ecc. e all'Europa si è aggiunta la Cina, i fondamentalisti e via dicendo. Se non si supera questo approccio padronale nei confronti del continente nero i problemi si accavalleranno invece che risolversi.        

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