Il
Regno Unito non avrebbe protetto il diritto di Nadia Eweida, una
dipendente della “British Airways”, di portare la croce nel posto
di lavoro. L’ha deciso la Corte europea dei diritti umani con una
sentenza emessa oggi nella quale si chiede ora di versare alla
signora Eweida 2mila euro per danni morali e 30mila euro per le spese
processuali. Nella stessa sentenza, la Corte rifiuta il ricorso di
Shirley Chaplin, un’infermiera, spiegando che l’ospedale
nel
quale quest’ultima lavorava aveva il diritto d’impedirle di
portare una croce per motivi di “salute e sicurezza”. Entrambe le
donne avevano perso le loro cause nei Tribunali del lavoro in Gran
Bretagna, dopo che era stato rifiutato loro il diritto di portare la
croce come simbolo della loro fede perché le direttive sulle
uniformi dei dipendenti dell’azienda non lo prevedevano.
Il
caso Eweida e Chaplin. Nella
sentenza, così è spiegata la decisione: “La Corte sottolinea
l’importanza della libertà di religione, elemento essenziale
dell’identità dei credenti e fondamento, tra altri, delle società
democratiche pluraliste. La libertà di religione, garantito
dall’art. 9 della Convenzione, implica la libertà di manifestare
la propria religione, anche sul luogo di lavoro. Tuttavia, quando la
pratica religiosa di un individuo sconfina sui diritti altrui, essa
può essere oggetto di restrizioni”. “Spetta in primo luogo alle
autorità degli Stati membri - aggiunge la Corte - determinare le
misure che ritengono necessarie. Da parte sua, la Corte ha per
compito di verificare se le misure prese a livello nazionale si
giustificano per principio e se mantengono un giusto equilibrio tra i
diversi diritti e gli interessi”. Nel caso della signora Eweida, la
sentenza della Corte europea fa notare come prima di lei, altri
impiegati della “British Airways” erano stati autorizzati a
indossare indumenti religiosi come il turbante e il hijab senza alcun
effetto negativo sull’immagine del marchio e la reputazione della
società. La Corte ha quindi ritenuto che le autorità britanniche
non hanno in questo caso specifico protetto a sufficienza il diritto
della signora Eweida di “manifestare” la propria appartenenza
religiosa. Diverso, invece, il caso di Shirley Chaplin in quanto “i
responsabili di un ospedale sono meglio preposti di un Tribunale per
prendere decisioni in materia di sicurezza clinica”.
Sentenza
sul trattamento delle coppie omosessuali. Nella
stessa sentenza la Corte ha rifiutato l’appello di altri due
cristiani che avevano perso l’impiego perché si erano rifiutati di
svolgere compiti del loro lavoro che ritenevano una forma di condono
dell’omosessualità. Gary McFarlane, un counsellor, che non ha
voluto aiutare, con terapie sessuali, una coppia gay, e Lillian
Ladele, una dipendente pubblica, che non aveva voluto celebrare
unioni civili, hanno perso il loro appello. La Corte ricorda come
“ogni differenza di trattamento a base di orientamento
sessuale non può essere giustificata se non da ragioni
particolarmente forti e che la situazione delle coppie omosessuali è
paragonabile a quella delle coppie eterosessuali per quanto riguarda
il bisogno di riconoscimento di tutela giuridica e protezione delle
loro relazioni”.
Le
prime reazioni: gli anglicani.
“I cristiani e i seguaci di altre religioni dovrebbero essere
liberi d’indossare i loro simboli senza subire discriminazioni”,
ha dichiarato l’arcivescovo di York, John
Sentamu,
il secondo per importanza, dopo quello di Canterbury, nella gerarchia
anglicana, commentando la sentenza della Corte. “I cristiani non
sono obbligati a indossare una croce ma dovrebbero essere liberi di
dimostrare il loro amore per Gesù e la fiducia in lui in questo
modo, se vogliono”. “Nel luglio 2012 il Sinodo generale ha deciso
che è la vocazione dei cristiani di ordinare la loro vita seguendo
gli insegnamenti delle Sacre Scritture e manifestare la loro fede in
luoghi pubblici e privati“, ha detto ancora l’arcivescovo di
York. “Questo significa esprimere la loro fede sia per iscritto che
parlando e in atti pratici di servizio alla comunità locale e alla
nazione. La legge sulle pari opportunità del 2010 incoraggia i
dipendenti, comprese le persone religiose, ad abbracciare la
diversità. Se si possa indossare una croce o pregare, non dovrebbe
essere qualcosa sulla quale i Tribunali e le Corte devono decidere”. (Agensir)
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