Don Raed Abusahilah, nuovo segretario generale di Caritas Gerusalemme, illustra le priorità per la piccola comunità cattolica che vive nei Territori palestinesi: "Lavoro, casa e matrimonio: sono le tre parole chiave che vanno tenute presenti se si vuole mantenere la presenza cristiana in Terra Santa". Presentato a Caritas Italia un progetto
chiamato "Gemellaggi-Viaggi". Si tratta di promuovere gemellaggi tra le venti parrocchie della Palestina e le diocesi italiane
“From
charity to development, dalla carità allo sviluppo”, lo ripete
continuamente, come fosse un mantra, “questo è il piano, questo è
il futuro. Se non faremo così resteremo mendicanti con licenza per
sempre. E noi non vogliamo elemosinare per l’eternità”. Parole
che sanno di programma, quello che vuole perseguire don Raed
Abusahliah,
dieci anni trascorsi come parroco nel villaggio palestinese a
maggioranza cristiana di Taybeh, l’antica Efraim, e da due mesi
nuovo segretario generale di Caritas Gerusalemme. In questi giorni in
Italia per una serie di incontri e per presentare i progetti della
Caritas Gerusalemme e convogliare su di essi l’interesse di
parrocchie, diocesi e della stessa Caritas Italia, don Raed ci tiene
a precisare: “Chiediamo alle Caritas del mondo di aiutarci a
camminare da soli. Soffriamo delle conseguenze dell’occupazione
israeliana che ci piega le gambe in ogni ambito di vita. Vogliamo
rialzare la testa e darci da fare per la giustizia e il diritto e per
restare nella nostra terra da uomini liberi”. E racconta in che
modo, a partire dalla Striscia di Gaza… “Siamo presenti a Gaza
dal 1990. Abbiamo due centri medici e una clinica mobile con venti
operatori. Un milione e mezzo di persone vivono in questa che è la
prigione a cielo aperto più grande del mondo, tra loro una esigua
minoranza cristiana, circa 1600 fedeli vale a dire 470 famiglie. I
cattolici sono solo 200, una minoranza della minoranza. Nostro
impegno è quello di assistere questo piccolo gregge cristiano per
farlo restare nella sua terra, ma è difficile. A Gaza, infatti, non
si trova lavoro, hanno difficoltà ad uscire dalla Striscia poiché
privi di permesso da parte di Israele e quando possono, nei periodi
di Pasqua e Natale, non vi fanno rientro e restano a Betlemme e
Ramallah”.
Non
più tardi di qualche mese fa si è consumato un secondo conflitto
con Israele che ha ulteriormente aggravato la situazione sul terreno…
“Lo
scorso novembre, come Caritas abbiamo lanciato un appello per
raccogliere fondi che utilizzeremo per fornire cibo a 1050 famiglie,
anche musulmane, per dare un bonus di 200 euro ad altre 2000 che
hanno avuto l’abitazione distrutta dalle bombe e per fornire
assistenza sanitaria ai bambini traumatizzati e attrezzature mediche
e medicinali agli ospedali della Striscia. Questa raccolta, cui hanno
contribuito le Caritas di Spagna, Corea, Nuova Zelanda e Giappone, ha
fruttato l’equivalente di circa 500mila euro. A Gaza, inoltre,
abbiamo tre grandi scuole frequentate da oltre 5mila studenti, in
larghissima maggioranza musulmani. Quest’ultimi ripongono fiducia
nell’istruzione che diamo nei nostri istituti ed è attraverso di
questa che cerchiamo di promuovere la convivenza e la pace”.
Dalla
carità allo sviluppo anche attraverso l’istruzione e l’educazione:
è così?
“La
nostra pastorale in Terra Santa è basata su due pilastri: la Chiesa
e la scuola. Crediamo, infatti, che l’educazione alla fede passi
anche attraverso i banchi di scuola. Nei nostri istituti ai bambini
cristiani offriamo istruzione religiosa e il catechismo ma siamo
anche aperti ai musulmani. Questi devono rappresentare almeno un
terzo se non la metà della popolazione scolastica di ogni istituto.
In Terra Santa ci sono oltre 58mila studenti che frequentano le
scuole cristiane. Quelle del Patriarcato sono 47 ed hanno 26mila
allievi seguiti da 5mila docenti. Se cristiani e musulmani imparano a
vivere insieme sin da piccoli, da grandi raccoglieremo frutti di
coesistenza pacifica e di apertura. Sono tanti i musulmani che
ricordano l’istruzione ricevuta che ha permesso loro di conseguire
risultati importanti nella vita. Tra i nostri ex studenti ci sono
anche ministri, medici, avvocati, docenti. Per favorire la frequenza
scolastica la Caritas offre molte borse di studio. Lo scorso 8 maggio
ne abbiamo distribuite 1030, per un totale di 300mila euro, ad
altrettanti studenti di 22 scuole cristiane, non solo cattoliche,
bisognosi della zona di Betlemme. Il tutto reso possibile da Caritas
Cile. Prossimo passo sarà quello di estendere il programma ad
allievi di villaggi dell’area di Ramallah, come Taybeh, Jifna,
Aboud, Birzeit e Ain Airik”.
La
Caritas è attiva anche a Gerusalemme e nei Territori palestinesi. In
che modo rispondete alle emergenze senza trascurare progettualità e
sviluppo?
“A
Gerusalemme operiamo nel campo dell’assistenza sociale: ci
rivolgiamo a nuclei familiari poveri, agli anziani, ai disabili, ai
tossicodipendenti e alcolisti. Nel campo sanitario abbiamo dei centri
medici ad Aboud, a Taybeh. Nella Città Vecchia di Gerusalemme opera
dal 1998 un centro di recupero per i drogati. Lo spaccio ed il
consumo di droga è un fenomeno in crescita ed Israele non fa nulla
per contrastarlo. L’occupazione avviene anche attraverso la
distruzione della gioventù palestinese. Infatti è più facile che
un giovane si faccia sei mesi di prigione per aver tirato un sasso
contro la polizia che essere arrestato per uso e spaccio di droga.
Nel centro i nostri operatori sociali lavorano per i drogati e le
loro famiglie, per la prevenzione con incontri in 32 scuole e per la
formazione di nuovi operatori. Ora l’Autorità palestinese ci ha
chiesto di fondare un secondo centro di riabilitazione e cura a
Ramallah e ci ha donato un terreno a questo scopo”.
Per
promuovere lo sviluppo e l’impresa avete dei progetti particolari?
“Abbiamo
un’attività di micro credito per finanziare piccoli progetti di
sviluppo, prestiti per studenti universitari e per ristrutturare
vecchie abitazioni da dare a giovani coppie. Per ciò che riguarda le
abitazioni, bisogno primario per i nostri cristiani, abbiamo
intenzione di proporre dei piccoli progetti per ogni villaggio e
favorire la costruzione di case attraverso la concessione di prestiti
con interessi molto bassi. Lavoro, casa e matrimonio: sono le tre
parole chiave che vanno tenute presenti se si vuole mantenere la
presenza cristiana in Terra Santa”.
In
questi giorni è in Italia: qual è lo scopo del suo viaggio?
“Siamo
arrivati per aprire le porte dell’Italia alla Terra Santa. A
Caritas Italia siamo venuti a presentare un progetto chiamato
‘Gemellaggi–Viaggi’. Si tratta di promuovere dei gemellaggi tra
le venti parrocchie della Palestina e le diocesi italiane, tramite la
Caritas e gli uffici pellegrinaggi. Ogni diocesi pellegrina in Terra
Santa andrà a visitare questa parrocchia per conoscerla ed aiutarla
in caso di bisogno. Un progetto semplice di sviluppo che
permetterebbe ai nostri cristiani di camminare da soli”.
Daniele Rocchi
Agensir
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