“Entrare
più profondamente nel movimento spirituale che ha caratterizzato il
Vaticano II, per farlo nostro e portarlo avanti nel suo vero senso”.
Sono le parole con cui Benedetto XVI ha spiegato il senso dell’Anno
della fede, nella giornata dell’11 ottobre. “E questo senso - ha
continuato - è stato ed è tuttora la fede in
Cristo, la fede
apostolica, animata dalla spinta interiore a comunicare Cristo a ogni
uomo e a tutti gli uomini nel pellegrinare della Chiesa sulle vie
della storia”.
Il
Concilio s’inserisce, dunque, in un grande movimento spirituale
della Chiesa con lo scopo di annunciare la fede in Cristo. Gesù è
il centro della fede cristiana: il cristiano crede in Dio mediante
Gesù Cristo, che ne ha rivelato il volto. Egli è il compimento
delle Scritture e il loro interprete definitivo. Gesù Cristo non è
soltanto oggetto della fede, ma, come dice la Lettera agli Ebrei, è
“colui che dà origine alla fede e la porta a compimento” (12,2).
Il Vaticano II è stato un evento eminentemente spirituale e la sua
esatta comprensione è proprio la fede. Ricorda il Pontefice – in
quel tempo perito conciliare – come durante il Concilio vi fosse
una “tensione commovente nei confronti del comune compito di far
risplendere la verità e la bellezza della fede nell’oggi del
nostro tempo, senza sacrificarla alle esigenze del presente né
tenerla legata al passato: nella fede risuona l’eterno presente di
Dio, che trascende il tempo e tuttavia può essere accolto da noi
solamente nel nostro irripetibile oggi”.
Dopo
cinquant’anni la Chiesa è ancora in movimento, impegnata in un
pellegrinaggio spirituale, in un esodo attraverso i deserti del
nostro tempo. Come procedere? Benedetto XVI individua alcune
attenzioni da tenere presenti. Innanzitutto, occorre leggere
nuovamente i testi del Concilio, nei quali si è manifestata la
spinta alla nuova evangelizzazione. “Per questo ho più volte
insistito sulla necessità di ritornare, per così dire, alla
‘lettera’ del Concilio – cioè ai suoi testi – per trovarne
anche l’autentico spirito, e ho ripetuto che la vera eredità del
Vaticano II si trova in essi”. Il riferimento ai documenti mette al
riparo dagli estremi di nostalgie anacronistiche e di corse in
avanti, e consente di cogliere la “novità nella continuità” e
la riforma nella continuità della Tradizione vivente della Chiesa.
In
secondo luogo, si deve prendere coscienza che di evangelizzazione c’è
più bisogno oggi che cinquant’anni fa! Il Papa nell’indire
l’Anno della fede ha tristemente constatato come in alcune regioni
del mondo la fede si stia spegnendo a motivo del secolarismo, che, di
natura sua, anestetizza la ricerca di Dio e delle cose eterne. Se al
tempo del Concilio si sapeva per esperienza che cosa significasse
vivere in un modo senza Dio, così come era avvenuto durante i
totalitarismi del Novecento, oggi si è davanti a una
desertificazione spirituale.
Ciò
non conduce alla rassegnazione: “È proprio a partire
dall’esperienza di questo deserto, da questo vuoto che possiamo
nuovamente scoprire la gioia di credere, la sua importanza vitale per
noi uomini e donne”. Il deserto presenta opportunità inattese,
come la riscoperta del valore di ciò che è essenziale per vivere. E
la fede è il primo di questi valori, perché offre un senso
all’esistenza e indica una Terra promessa, verso cui tendere. Che
cosa sarebbe l’uomo senza l’orizzonte della fede?
Nel
deserto contemporaneo c’è bisogno di persone di fede che, con la
loro stessa vita, indicano la via e tengono desta la speranza. La
fede vissuta apre il cuore alla grazia di Dio che libera dal
pessimismo. Oggi, più che mai, evangelizzare vuol dire testimoniare
una vita nuova, trasformata da Dio, e così indicare la strada. “Ecco
allora – prosegue Benedetto XVI - come possiamo raffigurare questo
Anno della fede: un pellegrinaggio nei deserti del mondo
contemporaneo, in cui portare con sé solo ciò che è essenziale:
non bastone, né sacca, né pane, né denaro, non due tuniche –
come dice il Signore agli Apostoli inviandoli in missione (cfr Lc
9,3), ma il Vangelo e la fede della Chiesa, di cui i documenti del
Concilio ecumenico Vaticano II sono luminosa espressione, come pure
lo è il Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato 20 anni or
sono”.
Il
nostro tempo è segnato da una dimenticanza e sordità nei confronti
di Dio. Per il Papa occorre, allora, tornare alla lezione semplice e
fondamentale del Concilio e cioè che il Cristianesimo, nella sua
essenza, consiste nella fede in Dio, che è Amore trinitario, e
nell’incontro, personale e comunitario, con Cristo che orienta e
guida la vita: tutto il resto ne consegue. La cosa importante oggi,
proprio come era nel desiderio dei Padri conciliari, è che si veda -
di nuovo, con chiarezza - che Dio è presente, riguarda l’uomo e
gli risponde. Al contrario, quando manca la fede in Dio, crolla ciò
che è essenziale, perché l’uomo perde la sua dignità profonda e
non vede ciò che rende grande la sua umanità. Il Concilio Vaticano
II è un forte appello a riscoprire ogni giorno la bellezza della
fede, a conoscerla in modo profondo per un più intenso rapporto con
il Signore, a vivere fino in fondo la vocazione cristiana.
Marco
Doldi
Agensir
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