Passa ai contenuti principali

2011: l’anno del «land grabbing»

La «razzia delle terre» praticata dalle multinazionali occidentali ma anche da Brasile, India, Cina, Russia

In Tanzania, la gente dei villaggi, per affittare un acro di terra, paga tra 250mila e due milioni e mezzo di scellini locali annui (125-1.250 euro): gli investitori stranieri (secondo il giornale economico Business Times) per produrre biocarburanti starebbero intanto facendo incetta delle stesse terre al prezzo ridicolo di 700 scellini ad acro (0,35 euro). L’Etiopia, Paese cronicamente nel morso della carestia, in cui 13 milioni di persone dipendono dagli aiuti internazionali, negli ultimi
anni è stata presa d’assalto da società agro-alimentari o produttrici di biocarburante indiane, saudite, cinesi. Secondo l’americano Oakland Institute e l’organizzazione dei contadini del Mali, dalla fine del 2010 ben 544mila ettari di terra del Paese africano – che darebbero lavoro a più di mezzo milione di agricoltori - sono stati o sono in via di «razzia» da parte di governi stranieri o multinazionali. Storie che ritornano anche in Indonesia, Malaysia, Filippine, Bolivia: anche se è soprattutto in Africa che non valgono mai le leggi di mercato. Solo quella del più forte.

LAND GRAB - Si chiama «Land Grab», traducibile in «rapina (grab) della terra (land)”, non è ancora la parola dell’anno come «spread» ma ne sentiremo parlare sempre di più. Da una parte i governi di nazioni più ricche, che cercano terre per produrre cibo da riportare in patria per garantire sicurezza alimentare ai propri cittadini, o multinazionali a caccia di appezzamenti per produrre a costo più basso. Dall’altra i contadini e le terre in cui vivono da secoli, che garantiscono loro (quando pure lo fanno) la sopravvivenza, e quei diritti fondamentali al cibo, alla vita, spesso non scritti ma non meno autentici. E ormai sistematicamente violati. Un fenomeno in crescita esponenziale. In 10 anni, (secondol’International Land Coalition) 203 milioni di ettari sono stati acquistati (ceduti) o affittati a 40/50 e fino a 99 anni (o sono in via di): una superficie pari a 7 volte quella dell’Italia, oltre 20 volte quella delle nostre terre coltivabili, più o meno le dimensioni dell’Europa nord-occidentale.

OBIETTIVO: AFRICA - Primo obiettivo delle negoziazioni: l’Africa, appunto, che rappresenta con 134,5 milioni di ettari quasi il 70% delle trattative (anche quelle in corso), poi l’Asia con poco più del 20% (43,5 milioni) e l’America Latina (18,3). Una piccola quota, 4,7 milioni di ettari, riguarda peraltro anche la campagna europea (soprattutto Romania, Bulgaria e Ungheria). Più in particolare, le ricerche dell’ong Oxfamindicano – nel mirino del land grabbing – soprattutto Paesi come Ghana, Mozambico, Senegal, Liberia, il nuovissimo Sud Sudan e, appunto, Etiopia e Tanzania. Il Mali e (ancora) la Tanzania vengono considerate sotto «opa ostile» anche dall’americano Oakland Institute, autore di uno dei dossier più recenti e completi. «In Mali, però, si tratta soprattutto di investimenti della vecchia "dirigenza” libica, che ora sono stati congelati dalla nuova, in questa fase meno disposta a investire all'estero», spiega Stefano Liberti, che ha appena pubblicato il libro Land Grabbing, come il mercato delle terre crea il nuovo colonialismo (edito da Minimum Fax, di prossima pubblicazione anche in Francia, Germania, America).

NUOVO COLONIALISMO? - A rastrellare terre sono soprattutto governi e società di Paesi come la Cina, l’India, la Corea del Sud, l’Arabia Saudita, il Qatar. Ma, oltre alle multinazionali occidentali, ci sono anche alcuni Paesi emergenti come Brasile e Russia. L’obiettivo principale, per gli Stati, sarebbe quello del perseguimento della sicurezza alimentare per la propria popolazione, in un momento di incertezza e crisi come l’attuale. In realtà, secondo le indagini più ampie e accreditate (Ilc in testa), il 37% delle negoziazioni avrebbero come finalità la produzione di bio-carburanti, seguiti (11,3%) da produzione agricola e (8,2%) produzione di legno ed estrazione minerarie. I governi e le società «acquirenti», naturalmente, contestano le contestazioni. Come la Cina, che nega ogni rapacità nelle sue operazioni; o come l’India, le cui compagnie che hanno comprato terre in Etiopia sostengono di aver al contrario investito in un’agricoltura arretrata, portando lì tecniche e macchine moderne. E a difendersi con questi stessi argomenti sono pure i governi locali «compiacenti», che aprono le porte alla cessione di quote territoriali del proprio Paese con la ragione dell’ammodernamento dell’economia locale attraverso gli investimenti stranieri.

INDIGNADOS DELLA TERRA - Peccato che a farne le spese siano sempre i contadini, espropriati con estrema facilità delle terre ancestrali di cui non detengono formali diritti di proprietà. E spesso privati del lavoro e anche del semplice diritto al cibo e alla sopravvivenza. I più recenti investimenti (di un fondo americano dell’Iowa) in Tanzania riguarderebbero 325.000 ettari di terra, che danno ad oggi lavoro a 162mila persone. E che in un futuro prossimo sembrano destinati al lavoro subordinato e sottopagato, quando non alla migrazione verso le città in cerca di lavoro. Senza contare gli sconvolgimenti della natura: produzione di bio-diesel a parte, l’Oakland Institute racconta il caso esemplare di una società che produce legname della Norvegia che sta progettando di piantare, al posto di 7.000 ettari di foresta in Tanzania, la monocultura del pino e dell’eucalipto per ottenere crediti di anidride carbonica da rivendere al governo norvegese. Soluzioni per il «land grab»? Poche, e al momento poco percorse. I contadini hanno cominciato a organizzarsi, ma gli «indignados della terra» riescono a far sentire la propria voce assai meno dei «cugini di città». Le organizzazioni internazionali cominciano a dibattere dei rischi e dei risvolti di questa forma di neocolonialismo. «L'Argentina ha approvato pochi giorni fa una legge per limitare l'acquisizione delle terre da parte degli stranieri. Il Brasile ha fatto qualcosa di simile», spiega ancora Liberti. C’è poi chi comincia a pensare di utilizzare lo strumento del diritto internazionale del «diritto al cibo». «Chi insiste su codici di condotta per gli Stati dovrebbe tener presente che avrebbero funzione solo di dissuasione», spiega Marcella Distefano, docente di diritto internazionale a Messina. «La strada giusta invece è quella delle norme consuetudinarie, vincolanti. Come la tutela dei diritti fondamentali», riconosciuti anche dai patti dell'Onu del '66. «In sostanza, poi, per gli Stati Africani la strada sarebbe quella di adottare contratti che prevedano l'obbligo di una ricaduta positiva sulle popolazioni locali»: strade, pozzi, acquedotti, scuole, un po' come i nostri oneri di urbanizzazione. E’ probabilmente la strada maestra. Quanto tempo ci vorrà per percorrerla, però, è un bel dibattito: mentre le terre dei poveri vengono «espugnate».

Edoardo Vigna
Corsera

Commenti

Post popolari in questo blog

La "Madonna che scioglie i nodi" c'è pure a Lainate!

L’acqua calda è già stata trovata. Lo so. Ma sentirselo ricordare è sempre salutare. In questo blog, ad esempio, avevo associato recentemente la figura di papa Francesco col quadro della Madonna che scioglie i nodi. Un’opera fino ad allora a me sconosciuta e che subito mi ha preso. Ciò che non sapevo ancora però è che la devozione a questa immagine esiste pure da tempo nella nostra diocesi ambrosiana. Me lo ha segnalato la sig.ra Emilia Flocchini, della Comunità Pastorale Maria Madre della Chiesa e San Barnaba in Gratosoglio a Milano. Dopo aver letto il mio post mi ha scritto a completamento: “L'elemento interessante sta nel

Donne nude di una tribù trattate come animali da circo. E' polemica

Siamo nelle Isole Andaman, in India. Un video (pubblicato dal sito dell'Observer) mostra delle donne di una tribù primitiva protetta che danzano per i turisti in cambio di cibo (oppure dopo bicchieri di vino versati da un poliziotto per il quale avevano dato spettacolo). Il video ha provocato la collera dei movimenti umanitari e ha determinato l'apertura di un'inchiesta. Secondo la legge indiana varata per proteggere i gruppi tribali dalle contaminazioni esterne, dai pericoli e dalle malattie, è proibito fotografarle, riprenderle ed entrare in contatto con loro. Il ministro indiano degli Affari Tribali, V. Kishore Chandra Deo. ha assicurato che prenderà delle

Buon Natale, nucleo famigliare!

La Natività  (olio su tela, 50×40 cm) di Julio Padrino.  Dipinto realizzato in occasione della 45a rappresentazione del presepe vivente di Cerqueto (2011).   È una scena intima, realistica, questa di Padrino. Quasi una fotografia. Le figure sono proporzionate e non interscambiabili. Il padre non fa capolino dalla cornice, ma partecipa a pieno titolo nel quadro. Il mood non è sdolcinato: c'è qualcosa che impensierisce, ma l'incoraggiamento reciproco prevale. Credo che qualche versetto di Matteo possa fungere da buona didascalia, o almeno io così li leggo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua moglie; perché ciò che in lei è generato, viene dallo Spirito Santo. Giuseppe fece come l'angelo del Signore gli aveva comandato e prese con sé sua moglie. (Matteo 1,20; 24) A conclusione del Sinodo straordinario sulla famiglia ed in preparazione a quello ordinario, il Natale di quest'anno ci chiede di