“Oggi la Chiesa non può sprecare le possibilità che il mondo del turismo e del tempo libero le offre”. Ne è convinto mons. Antonio Maria Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, intervenuto al convegno svoltosi oggi a Venezia, sul tema “Turismo e avvicinamento delle culture”, in occasione della Giornata nazionale del Turismo, promossa dall’Ufficio nazionale della Cei in collaborazione con gli Uffici competenti del Patriarcato di Venezia e la Commissione Regionale Triveneta. “Negli ultimi decenni – ha fatto notare l’esponente vaticano, citando
il Messaggio preparato dal competente dicastero della Santa Sede per la Giornata mondiale del Turismo di quest’anno - si è prodotta una democratizzazione del turismo”, diventato ormai “alla portata di molti”: di qui la necessità di “abbandonare, a livello ecclesiale, antichi pregiudizi, oggi infondati, secondo i quali alcuni identificano il turismo con frivolezza o svago esclusivo per le classi sociali danarose”. L’incontro delle culture, è la tesi del relatore, va inteso “come un ambito di crescita, tanto a livello personale che sociale”: in questa prospettiva la “differenza”, che “alcuni trovano così minacciosa, può divenire, mediante un dialogo rispettoso, la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell’esistenza umana”.
il Messaggio preparato dal competente dicastero della Santa Sede per la Giornata mondiale del Turismo di quest’anno - si è prodotta una democratizzazione del turismo”, diventato ormai “alla portata di molti”: di qui la necessità di “abbandonare, a livello ecclesiale, antichi pregiudizi, oggi infondati, secondo i quali alcuni identificano il turismo con frivolezza o svago esclusivo per le classi sociali danarose”. L’incontro delle culture, è la tesi del relatore, va inteso “come un ambito di crescita, tanto a livello personale che sociale”: in questa prospettiva la “differenza”, che “alcuni trovano così minacciosa, può divenire, mediante un dialogo rispettoso, la fonte di una più profonda comprensione del mistero dell’esistenza umana”.
“Vi sono diversi modi di fare turismo”, ha spiegato mons. Vegliò: “Uno di questi è il totale isolamento del turista rispetto al luogo che visita. Chiuso in spazi riservati, la relazione fra entrambi i mondi, visitatore e visitato, è nulla”. Una seconda modalità è quella “dell’avvicinamento superficiale alla cultura del luogo visitato”, in base alla quale “il turista, segnato da pregiudizi, si aspetta di incontrare una serie di espressioni ‘tipiche’, che qualifica distintive o autentiche, riducendo il patrimonio culturale a una realtà immaginata che non sempre corrisponde a quella reale”. In questi casi, “il turismo può generare cambiamenti negativi nella cultura della comunità ospitante, producendo un processo di ‘sculturalizzazione’ e di banalizzazione della cultura, nella quale il folclore, le tradizioni religiose e culturali e ogni espressione etnica si convertono in bene di consumo per i turisti, mentre le comunità locali cercano di adeguarsi alla domanda che ricevono”. Questo fenomeno di “autenticità scenografizzata”, secondo mons. Vegliò, è “uno dei rischi” che il turismo “può generare”, provocando col tempo “un sentimento di inibizione e anche di rifiuto da parte delle comunità locali, specialmente quando sentono che si trivializza” una “parte importante del loro essere, specialmente quando colpisce i loro luoghi o le loro espressioni religiose”.
È quella che Giovanni Paolo II chiamava “sotto-cultura”, generata dal turismo di massa, che “avvilisce sia il turista, sia la comunità che l’accoglie”. In altre parole, “si tende a strumentalizzare a fini commerciali le vestigia di ‘civiltà primitive’ e i ‘riti di iniziazione ancora viventi’ in alcune società tradizionali. Per le comunità di accoglienza, molte volte il turismo diventa un’opportunità per vendere prodotti cosiddetti ‘esotici’”. Sorgono, così, “centri di vacanze sofisticati, lontani da un contatto reale con la cultura del Paese ospitante o caratterizzati da un esotismo superficiale ad uso dei curiosi, assetati di nuove sensazioni”. Si tratta, spiegava Giovanni Paolo II nel Messaggio per la Giornata Mondiale del Turismo 2001, d8i una “etnicità ricostruita” che è “il contrario di ciò che dovrebbe essere un vero dialogo fra le civiltà, rispettoso dell’autenticità e della realtà di ciascuno”. “Accanto a questi modi superficiali o errati di accostarsi al luogo visitato”, c’è però per mons. Vegliò “anche un approccio più completo, attento alla vera cultura del luogo”: un turismo, questi, che “promuove la conoscenza dei luoghi, dei monumenti, dei paesaggi, della storia e dei costumi”, ma che “suscita anche la conoscenza delle persone e fra le persone”. A questo proposito, ha annotato il relatore, sono “sempre più numerose le offerte turistiche in cui, oltre alla visita dei monumenti e dei paesaggi naturali, si rende possibile un incontro con le comunità locali. Tale proposta si va diffondendo, per esempio, per conto di alcune agenzie cattoliche nell’organizzazione dei pellegrinaggi in Terra Santa”. Tra le proposte pastorali, mons. Vegliò ha segnalato la “via pulchritudinis”, il cammino della bellezza, “tanto caro a Benedetto XVI”.
Agensir
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