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Il Papa «viaggiatore» che porta a tutti Speranza

Benedetto XVI parte oggi per il suo ventiduesimo viaggio internazionale, il quarto del 2011 (cui vanno aggiunte le cinque visite in Italia), il secondo in Africa. Non male per un pontefice di 84 anni, che fino a domenica si accinge ad affrontare più di 11 ore di volo tra andata e ritorno, un brusco cambiamento di clima e un programma che, ancorché concentrato in tre giorni, sarà molto intenso. Ma al di là delle statistiche (per completezza si potrebbe ricordare che in sei anni e mezzo di pontificato il Papa ha compiuto anche 26 visite in diocesi italiane) proprio questo secondo viaggio africano di Benedetto XVI fornisce lo spunto per alcune riflessioni sul suo modo di viaggiare. Un campo in cui, come in molti altri, la strada intrapresa è
stata quella di una continuità creativa con il suo immediato predecessore.
Continuità, innanzitutto. Se, infatti, ogni paragone sul piano numerico è semplicemente improponibile (Giovanni Paolo II cominciò il suo Pontificato a 58 anni, Benedetto XVI ha esordito a 78), è già emerso con chiarezza che papa Ratzinger crede nell’efficacia pastorale delle visite apostoliche per lo meno quanto chi lo ha preceduto. E del resto non sono in pochi a pensare che l’eredità wojtyliana, anche sotto questo profilo, sia un patrimonio anche per la Chiesa del futuro. Per questo Benedetto XVI continua a programmare visite apostoliche, anche se naturalmente cerca di commisurare gli spostamenti alle sue forze e alla sua età, come ha ricordato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, rispondendo a coloro che, di tanto in tanto, sono tentati da raffronti impropri. In questo senso, la continuità ratzingeriana non è solo con Karol Wojtyla, ma anche con Paolo VI, perché Papa Benedetto ha recuperato, proprio nel suo modo di viaggiare, anche alcuni elementi della feconda stagione montiniana. I nove viaggi internazionali di quel grande Pontefice avevano in sé una emblematicità che andava oltre i luoghi fisicamente toccati dai singoli itinerari. In sostanza, si può dire che quei viaggi mostrarono le coordinate della nuova evangelizzazione sulla quale si sarebbe spinto, fino agli estremi confini della Terra, lo stesso Giovanni Paolo II. Alla medesima maniera, per citare nuovamente padre Lombardi, Benedetto XVI «viaggia per motivi importanti e non troppo locali». E ciò risulta evidente se si passano in rassegna i 21 precedenti del viaggio che inizia oggi. Salta innanzitutto agli occhi il gruppo delle «visite di settembre» in Paesi chiave di quell’Europa che stenta ancora a riconoscere se stessa e le proprie radici cristiane e alla quale, invece, il Papa in discorsi memorabili (Ratisbona, Parigi, Londra, Berlino) continua a ricordare che non ci può essere futuro senza memoria e identità. Ci sono poi le Gmg, da ultima quella di Madrid, che in modo diverso e nuovo hanno approfondito il rapporto tra il successore di Pietro e i giovani; le visite ad alto tasso di dialogo ecumenico ed interreligioso ( Turchia, Terrasanta, ancora Londra, la stessa Germania di due mesi fa); il rapporto con i grandi della Terra e l’economia (Usa e Onu); i gesti di affetto, commozione e vicinanza alle vittime dei peccati e delle violenze fisiche e morali compiute da alcuni uomini di Chiesa; e non è certo mancata l’attenzione ai diversi continenti, dal momento che (con la sola eccezione, finora, dell’estremo Oriente), gli itinerari papali hanno già toccato le cinque principali parti dell’orbe terraqueo. In definitiva, emerge con nettezza che tra i grandi temi del pontificato e le visite apostoliche c’è un parallelismo perfetto. Il viaggio in Africa è, da questo punto di vista, ugualmente paradigmatico.
Viaggio in un solo Paese, il Benin, ma con uno sguardo che – grazie all’esortazione apostolica postsinodale Africae munus e ad alcuni appuntamenti, primo tra tutti quello di domani con il Corpo diplomatico, le autorità politiche e i rappresentanti religiosi – si allargherà inevitabilmente all’intero Continente, ai suoi problemi (che spesso solo la Chiesa ricorda organicamente alla comunità internazionale) ma soprattutto alle sue enormi potenzialità da non depredare in una sorta di neocolonialismo culturale.
Non a caso Benedetto XVI – con gesto senza precedenti nei viaggi – incontrerà i bambini in una parrocchia di Cotonou. Come a ribadire che essi sono il futuro e la speranza del Continente e del mondo, non un 'di più' da sterilizzare.
Ecco, il Papa in definitiva viaggia per portare speranza.
Quella Speranza che per i cristiani ha il nome e il volto di Gesù Cristo. E viaggia per dire, non solo al Sud del Pianeta, ma anche al Nord sviluppato e oggi in profonda crisi, che è da questa Speranza che bisogna ripartire.

Mimmo Muolo
Avvenire

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