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Fatture in nero e conti in rosso. Più forza contro l'evasione

Il punto di vista istituzionale (“è una stortura economica, legale e morale, divenuta intollerabile e da colpire in ogni modo”) del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano; il punto di vista tecnico (“abbiamo raggiunto un livello di evasione che non fa onore all’Italia e agli italiani”) del presidente di Confprofessioni, il commercialista Gaetano Stella. Lo stesso card. Angelo Bagnasco s’è detto “impressionato” dalle cifre evase al Fisco italiano. Perché se è vero che bisogna dare a Cesare quel che gli è dovuto, sono milioni gli italiani che dimenticano di farlo in tutto o in parte. Le stime non sono concordi proprio perché si parla di qualcosa che non c’è, di redditi (ed altro) che non vengono
dichiarati, quindi sono solo presunti. Diciamo che tutte le previsioni danno per scontato un mancato introito per lo Stato italiano di almeno 120 miliardi di euro all’anno. Una cifra enorme in sé e incredibile se suddivisa tra i 60 milioni di italiani: l’evasione media sarebbe pari a 2mila euro pro capite, neonati compresi. Quindi chi sottrae soldi alla collettività, lo fa normalmente in larga scala.
Ci sono molti modi per arricchirsi impoverendo il Fisco. I raggiri in materia di Iva sono impressionanti; ci sono regioni italiane (Calabria capofila) dove la parola fattura è sinonimo di malocchio e non certo di documento fiscale; ci sono dichiarazioni dei redditi che mettono nero su bianco la voglia (legale o meno) di pagare il meno possibile. Perché non è credibile che la metà delle società di capitali italiane sia in perdita, o che buona parte dei commercianti e degli artigiani dichiarino meno – e tutti gli anni – dei dipendenti che tengono in azienda. Che insospettabili e stimate aziende – nonché riveriti e fotografati imprenditori – usino con grande disinvoltura tutte le possibilità che la globalizzazione permette in materia di paradisi fiscali e società off shore: il vero veicolo con cui si alimentano i conti esteri in cui svernano (in Svizzera, Lussemburgo, isole Cayman…) almeno cento miliardi di euro. Almeno; e nessuno voglioso di passare sotto la lente del Fisco italiano.
Il quale, di per sé, è diventato pochi giorni fa il più esoso del mondo. Con la manovra di ferragosto, ufficialmente l’aliquota fiscale massima ha toccato il 53% (aliquota fiscale massima in Grecia, Francia e Gran Bretagna: 40%; in Spagna: 43%; Germania e Danimarca: 45%; Norvegia: 48%). Silvio Berlusconi avrà il dubbio onore di aver portato la tassazione al livello più alto nella storia repubblicana, un 53% che arriva a Roma al 55,3% considerate le addizionali Irpef regionali e comunali.
Quindi c’è chi versa allo Stato la metà di quanto guadagna (molto di più, se si pensa poi alle imposte sui consumi come l’Iva), e chi poco o nulla. Serve dire altro?
No, servirebbe fare qualcosa. La teoria (e la pratica) dicono che aliquote altissime portano ad un’evasione fiscale proporzionata: c’è un enorme vantaggio a frodare il Fisco e la collettività. Ci vorrebbero controlli più estesi e capaci di recuperare ben di più dei 9 miliardi di euro di oggi (comunque un record, rispetto agli anni passati). Ci vorrebbe la lungimiranza di cambiare le regole del gioco, di molti giochi. A cominciare dal meccanismo della detrazione fiscale delle spese sostenute dai privati cittadini. Oggi, ad esempio, lo Stato chiede tantissima Irpef a chi esegue un lavoro, e parallelamente il 20% di Iva a carico di chi lo commissiona: un’enormità complessiva. Se non detraibile, l’Iva è un ulteriore costo puro che favorisce vieppiù l’evasione reciproca: io ti chiedo un po’ di meno ma “in nero” e tu non paghi l’Iva. Si risparmia in due, ci rimettono 60 milioni di italiani.
Esistono studi che hanno individuato meccanismi tali da far emergere quell’80% (questa è la stima) di prestazioni in nero. Che non pagano l’Irpef, l’Iva ma nemmeno i contributi previdenziali e assicurativi.
Ci vuole una volontà politica chiara e decisa che consideri la “lotta all’evasione” non una generica voce da inserire nei programmi elettorali, ma il punto numero uno di politiche che permettano all’Italia di non fare la fine dell’Argentina nel 2001 o della Grecia nel 2010, due nazioni arrivate al fallimento anche a causa di spaventose evasioni fiscali.
Ci vorranno nel medio periodo serie sforbiciate ad aliquote insostenibili, per far fronte ad una spesa pubblica messa finalmente sotto controllo: quella italiana non lo è. Ci vorrà infine un sistema punitivo che abbia maggior potere di deterrenza rispetto alle attuali regole, di decennio in decennio depotenziate da micidiali condoni. Se l’idea di ritornare al regime “manette agli evasori” di inizio anni Ottanta è semplicemente da scartare (non fosse altro per un riflesso pratico: si dovrebbero edificare centinaia di nuove carceri…), si inaspriscano le sanzioni pecuniarie soprattutto per chi, con un semplice tratto di penna, riesce ad impossessarsi illegalmente di milioni di euro. E pretende che, ricoverato in ospedale per il coccolone sopraggiunto da eccessiva gioia, siano gli altri a pagare pure il conto dell’ospedale medesimo.

Nicola Salvagnin
Agensir

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