Rileggendo
un libro minore di Libero Bigiaretti, Cattiva memoria (Nuova
accademia, 1965), mi sono imbattuto in questo breve racconto romano:
«Ricordi il forestiero che nessuno è ”importante” a Roma. Se
uno crede di esserlo, o lo è al suo paese, e pretende di essere
riconosciuto come tale a Roma, può capitargli di restare come
Guglielmo II. Del quale si racconta che dopo aver ben mangiato, in
stretto incognito, in una trattoria, volle poi farsi riconoscere
dall’oste – un po’ per il gusto di sbalordirlo, un po’ per
incoraggiarlo – come l’imperatore di Germania. L’oste lo guardò
senza nessuna curiosità o meraviglia e, porgendogli la mano, gli
disse semplicemente: ”M’arillegro”».
Questo
gustoso ritratto di Guglielmo II, trattato a Roma come uno dei tanti,
ci dice
qualcosa di profondamente vero sulla nostra città. Il
giovane di talento o il professionista affermato che venga a Roma
proveniente dalla provincia, magari con buone credenziali, s’imbatte
da subito contro un muro di indifferenza. Uno degli intercalari che
s’imparano da subito è il romanissimo «e ’sti cazzi!».
Qualsiasi cosa si diventi, qualsiasi cosa si faccia, a Roma il
responso è sempre lo stesso: «E ‘sti cazzi!».
A
Roma sono passati tutti: papi, imperatori, dittatori, scrittori,
attrici, artisti, ladri, assassini, prostitute. E la città, così
carica di personaggi famosi di ieri e di oggi, non si meraviglia più
di niente. Se il corteo papale blocca il traffico, il romano
disincantato commenta con una sola frase: «Mortacci sua!».
Renzo
Paris mi raccontava che una volta chiese ad Alberto Moravia se dopo
tanti libri sentiva di essere finalmente diventato famoso. Moravia
rispose: «Neanche i vicini mi riconoscono. Renzo, una vita vale
l’altra».
Questo
cinismo rende le persone che fanno qualcosa d’importante a Roma
estremamente disincantate e insoddisfatte, ma è anche uno
straordinario stimolo a fare meglio, a spostare ogni giorno più in
là la linea dell’orizzonte dei propri traguardi.
Gli
scrittori italiani, per esempio, non vengono mai riconosciuti da
nessuno. E se provano a dire a qualcuno che hanno appena pubblicato
un libro, sulle labbra dell’interlocutore si profila immediatamente
la ”s” di «’sti cazzi!».
Roma
è una scuola di vita durissima, perché la prima cosa che impari è
che non sei nessuno. Proprio come Guglielmo II davanti all’oste,
che solo per educazione gli ha detto «m’arillegro» e non «’sti
cazzi!».
Andrea
Di Consoli per il
Messaggero 9/9/08
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