Messaggio per la 7ª Giornata per la salvaguardia del creato
1° settembre 2012
“Educare alla custodia del creato per sanare le ferite della terra”
1. La
Giornata per la salvaguardia del creato: lode e riconciliazione
Celebrare
la Giornata per la salvaguardia del creato significa, in primo luogo,
rendere grazie al Creatore, al Dio Trino che dona ai suoi figli di
vivere su una terra feconda e meravigliosa.
La nostra celebrazione non può, però, dimenticare le
ferite di cui soffre la nostra terra, che
possono essere guarite solo
da coscienze animate dalla giustizia e da mani solidali. Guarire
è voce del verbo amare, e chi desidera guarire sente che quel gesto
ha in sé una valenza che lo vorrebbe perenne, come perenne e fedele
è l’Amore che sgorga dal cuore di Dio e si manifesta nella
bellezza nel creato, a noi affidato come dono e responsabilità. Con
esso, proprio perché gratuitamente donato, è necessario anche
riconciliarsi quando ci accorgiamo di averlo violato.
La riconciliazione parte
da un cuore che riconosce innanzi tutto le proprie ferite e vuole
sanarle, con la grazia del Signore, nella conversione e nel gesto
gratuito della confessione sacramentale. Quindi si fa anche
riconciliazione con il creato, perché il mondo in cui viviamo porta
segni strazianti di peccato e di male causati anche dalle nostre
mani, chiamate ora a ricostituire mediante gesti efficaci un’alleanza
troppe volte infranta.
Questo è lo scopo del messaggio che vi inviamo,
carissimi fratelli e sorelle, come Vescovi incaricati di promuovere
la pastorale nei contesti sociali e il cammino ecumenico, in un
fecondo intreccio che ci vede vicini e ci impegna tutti. Nella
condivisione della lode e della responsabilità per la custodia del
creato, il mese di settembre sta diventando per tutte le Confessioni
cristiane una rinnovata occasione di grazia e di purificazione. Anche
di questo rendiamo grazie al Signore.
La nostra riflessione raccoglie le tante sofferenze
sperimentate, in questo anno, da numerose comunità, segnate da
eventi luttuosi. Pensiamo alle immense ferite inflitte dal terremoto
nella Pianura Padana. Mentre riconosciamo la nostra fragilità,
cogliamo anche la forza della nostra gente, nel voler ad ogni costo
rinascere dalle macerie e ricostruire con nuovi criteri di sicurezza.
Pensiamo alle alluvioni che hanno recato lutti e distruzioni a
Genova, nelle Cinque Terre, in Lunigiana e in vaste zone del
Messinese. Nel pianto di tutti questi fratelli e sorelle sentiamo il
lutto della terra, cui
la stessa Sacra Scrittura fa riferimento, e che coinvolge tristemente
anche gli animali selvatici, gli uccelli del cielo e i pesci del mare
(cfr Os 4,3).
È significativo, in proposito, che il 9 ottobre sia stato dichiarato
dallo Stato italiano “Giornata in memoria delle vittime dei
disastri ambientali e industriali causati dall’incuria dell’uomo”.
2.
Una storia di guarigione e responsabilità
La guarigione nasce da un cuore che ama, che si fa
vicino all’altro per essere insieme liberati nella verità e
condividere la vita. È la logica dell’educazione alla “vita
buona del Vangelo” che le nostre Chiese stanno percorrendo in
questo decennio.
Ce lo ricorda anche la storia
biblica di Giuseppe
(cfr Gen 37-49),
venduto dai fratelli per rivalità e gelosia. La sua vicenda contiene
un concreto itinerario di guarigione da parte di Dio delle ferite,
sia quelle del cuore che quelle della terra. Giuseppe è gettato nel
pozzo, gridando la sua innocenza, ma non è ascoltato dai fratelli. A
prestare ascolto al suo gemito sarà Dio stesso, che ha cuore di
padre. Giuseppe diventerà il viceré d’Egitto, attuando una
intelligente politica agraria. Nella precarietà della crisi che si
abbatte sul paese, resa visibile dalle vacche magre e dalle spighe
vuote, immagini di forte suggestione anche per il momento attuale, la
relazione del popolo con la terra sarà sanata proprio grazie alla
lungimiranza e alla responsabilità per il bene comune dimostrata da
Giuseppe, figura emblematica della Sapienza donata da Dio a Israele.
Egli, inoltre, pensa in termini di riconciliazione e non
di vendetta quando si vede davanti i suoi fratelli, che lo hanno
tradito e venduto. Se li mette alla prova con severità, è per
cogliere l’autenticità del legame che li unisce al padre Giacobbe,
verificando così la radice di ogni guarigione, interiore ed
esteriore. Dopo aver constatato che il padre resta il premuroso e
insostituibile punto di riferimento, egli rivela la sua identità, in
un pianto liberatorio che diviene accoglienza fraterna e futuro di
benessere in una terra e in un cuore riconciliati in saggezza e
verità. Giuseppe stesso esce trasformato da questo perdono: egli
diviene consapevole dell’agire misericordioso di Dio verso gli
uomini.
Quello di Giuseppe, dunque, è l’itinerario biblico
che proponiamo, perché possa essere di luce e di speranza, durante
questo faticoso ma liberante cammino di benedizione.
3.
Educare all’alleanza tra l’uomo e la terra
A noi, come Chiese in Italia, in sintonia con tante
Chiese nel mondo, spetta proprio questo compito: riportare il cuore
della nostra gente dentro il cuore stesso di Dio, Padre di tutti, che
«fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui
giusti e sugli ingiusti» (Mt
5,45). Solo se diventerà primaria la coscienza di una universale
fraternità, potremo edificare un mondo in cui condividere le risorse
della terra e tutelarne le ricchezze. Ciò si accompagna alla
comprensione che la creazione ci è donata da Dio, che essa stessa si
fa percorso verso Dio e ci fa sperimentare il dialogo tra di noi
nella verità, come fratelli che hanno riconosciuto la paternità
gratuita di Dio.
Si legge, infatti, nel messaggio scaturito dall’ultimo
Forum Europeo Cattolico-Ortodosso, tenutosi a Lisbona nello scorso
giugno: «Non è più possibile dilapidare le risorse del creato,
inquinare l’ambiente in cui viviamo come stiamo facendo. La
vocazione dell’uomo è di essere il custode e non il predatore del
creato. Oggi si deve essere consapevoli del debito che abbiamo verso
le generazioni future alle quali non dobbiamo trasmettere un ambiente
degradato e invivibile» (n. 11).
È nella Bibbia che incontriamo la grande prospettiva
dell’alleanza tra
Dio e la sua creazione, in una reciprocità da riconoscere davanti a
luoghi dove la bellezza esteriore si è fatta segno di una bellezza
interiore – pensiamo, ad esempio, ai tanti siti dove i monaci
custodiscono il creato – ma anche davanti ai tristi scempi
dell’ambiente naturale, provocati dal peccato degli uomini,
evidente soprattutto nelle azioni della criminalità mafiosa.
Tra ecologia del cuore ed ecologia del creato vi è
infatti un nesso inscindibile, come ricorda Benedetto XVI
nell’enciclica Caritas in veritate:
«L’uomo interpreta e modella l’ambiente naturale mediante la
cultura, la quale a sua volta viene orientata mediante la libertà
responsabile, attenta ai dettami della legge morale» (n. 48).
L’ambiente naturale non è
una materia di cui disporre a piacimento, «ma opera mirabile del
Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e
criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario. Oggi
molti danni allo sviluppo provengono proprio da queste concezioni
distorte» (ivi),
come quelle che riducono la natura a un semplice dato di fatto o,
all’opposto, la considerano più importante della stessa persona
umana.
Ci viene chiesto, perciò, di annunciare queste verità
con crescente consapevolezza, perché da esse potrà sgorgare un
concreto e fedele impegno di guarigione dell’ambiente calpestato.
Si tratta di un compito che appartiene alla sollecitudine educativa
delle comunità cristiane e offre l’occasione per catechesi
bibliche, momenti di preghiera, attività di pastorale giovanile,
incontri culturali. È una responsabilità che appartiene anche ai
docenti, in particolare agli insegnanti di religione: essa potrà
essere intensivamente richiamata nel mese di settembre, dedicato in
modo speciale al creato e tempo di ripresa della scuola.
Ritessere
l’alleanza tra l’uomo e il creato significa anche affrontare con
decisione i problemi aperti e i nodi particolarmente delicati, che
mostrano quanto ampie e complesse siano le questioni legate
all’intreccio tra realtà ambientale e comunità umana. Accanto
all’annuncio, infatti, è necessaria anche la denuncia di ciò che
viola per avidità la sacralità della vita e il dono della terra.
Proprio in questi mesi è venuta all’attenzione dei media
la questione dell’eternit
a Casale Monferrato, con i gravi impatti sulla salute di tanti uomini
e donne, che continueranno a manifestarsi ancora per parecchi anni.
Un caso emblematico, che evidenzia lo stretto rapporto che intercorre
tra lavoro, qualità ambientale e salute degli esseri umani.
L’attenzione vigilante per tale drammatica situazione e per i suoi
sviluppi deve accompagnarsi alla chiara percezione che l’amianto è
solo uno dei fattori inquinanti presenti sul territorio. Vi sono anzi
aree nelle quali purtroppo la gestione dei rifiuti e delle sostanze
nocive sembra avvenire nel più totale spregio della legalità,
avvelenando la terra, l’aria e le falde acquifere e ponendo una
grave ipoteca sulla vita di chi oggi vi abita e delle future
generazioni.
Mentre
esprimiamo una volta di più quella solidarietà partecipe, che si è
già manifestata in numerosi gesti di condivisione, desideriamo
proporre una riflessione tesa a cogliere in tali accadimenti alcuni
elementi che la stessa forza dell’emergenza rischia di lasciare
sullo sfondo, impedendo di percepirne tutta la rilevanza. Occorre
invece saper leggere i segni dei tempi, scoprendo – nella luce
della fede – quegli inviti a riorientare responsabilmente il nostro
cammino che essi portano in sé.
Annunciare
la verità sull’uomo e sul creato e denunciare le gravi forme di
abuso si accompagna alla messa in atto di scelte e gesti quali stili
di vita intessuti di sobrietà e condivisione, un’informazione
corretta e approfondita, l’educazione al gusto del bello, l’impegno
nella raccolta differenziata dei rifiuti, contro gli incendi
devastatori e nell’apprendistato della custodia del creato, anche
come occasioni di nuova occupazione giovanile.
4. Per
una Chiesa custode della terra
Vivere
il territorio come un bene comune è un’esigenza di vasta portata,
che richiama anche le comunità ecclesiali a una presenza vigilante.
Il territorio, infatti, è davvero tale quando abitato da un soggetto
comunitario che se ne prenda realmente cura e la presenza capillare
del tessuto ecclesiale deve esprimere anche un impegno in tal senso.
Abbiamo bisogno di una pastorale che ci faccia recuperare il senso
del “noi” nella sua relazione alla terra, in una saggia azione
educativa, secondo le prospettive degli Orientamenti pastorali
Educare alla vita buona del Vangelo.
Prendersi cura del territorio, del resto, significa anche permettere
che esso continui a produrre il pane e il vino per nutrire ogni uomo
e che ogni domenica offriamo come “frutti della terra e del nostro
lavoro” a Dio, Padre e Creatore, perché diventino per noi il Corpo
e il Sangue del Suo amatissimo Figlio.
Per
questo invitiamo con forza a tornare a riflettere sul nostro legame
con la terra e, in particolare, sul rapporto che le comunità umane
intrattengono col territorio in cui sono radicate. Si tratta di una
realtà complessa e ricca di significati, che spesso rimanda a storie
di relazioni e di crescita comune, in cui la città degli uomini e
delle donne rivela il suo profondo inserimento in un luogo e in un
ambiente. Il territorio è sempre una realtà naturale, con una
dimensione biologica ed ecologica, ma è anche inscindibilmente
cultura, bellezza, radicamento comunitario, incontro di volti: una
densa realtà antropologica, in cui prende corpo anche il vissuto di
fede.
I santi ci insegnano con chiarezza la strada da seguire,
come san Bernardino da Siena, che mentre poneva al vertice della sua
opera pastorale il nome di Gesù, davanti al quale tutti i ginocchi
si piegano in adorazione, si adoperava per rafforzare i Monti di
pietà e i Monti frumentari, segni di una rinascita che dà al denaro
il giusto valore, diventando anche precursore di quella “economia
di fiducia” che sola può guarire le ferite della nostra crisi,
causata da avidità e insipienza.
Le stesse mani dell’uomo, sostenute e guidate dalla
forza dello Spirito, potranno così guarire e risanare, in piena
riconciliazione, il creato ferito, a noi affidato dalle mani paterne
di Dio, guardando con responsabilità educativa alle generazioni
future, verso cui siamo debitori di parole di verità e opere di
pace.
Roma, 24
giugno 2012
Solennità
della Natività di San Giovanni Battista
La
Commissione Episcopale
per
i problemi sociali e il lavoro,
la
giustizia e la pace
|
La
Commissione Episcopale
per
l’ecumenismo e il dialogo
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