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Il gioco tra cultura e spiritualità

“I giochi dei bambini non sono giochi, bisogna considerarli come le loro azioni più serie». È a partire da questa citazione del filosofo e scrittore Michel de Montaigne che traggono spunto i tre incontri di cultura e spiritualità, in programma anche quest’anno al seminario di Seveso il 6, 13 e 20 maggio, a partire dalle ore 20.45.
Giunti alla loro ottava edizione, si propongono di approfondire alcuni aspetti importanti dell’universo giovanile, per mostrare come anche una riflessione culturale, orientata sull’uomo e le sue dinamiche esistenziali, possa aprire a riflessioni più profonde sulla spiritualità e su Dio. Così, dopo aver affrontato temi quali la felicità, l’amicizia, la paura e l’ascolto, quest’anno ci si soffermerà sul gioco, tema strettamente legato a quello della passata edizione: la menzogna e la maschera.
«A prima vista potrebbe sembrare un argomento un po’ superficiale - spiega don Gildo Conti, coordinatore dell’iniziativa
eppure il gioco è un’esperienza di vita interessante sulla quale vale la pena riflettere, perché può dare indicazioni serie su come ci comportiamo nella quotidianità sotto diversi punti di vista».
Non si gioca solo da bambini, in fondo anche lo sport che pratichiamo da adulti rappresenta un momento di svago, un divertimento. Benché in misura minore, l’esperienza del gioco ci accompagna in tutte le stagioni della vita, comprese quelle più serie e meno spensierate.
Nel primo incontro, dal titolo «Il gioco in libertà e la libertà in gioco», don Gildo affronterà il tema da un punto di vista sociologico, soffermandosi sui diversi tipi di gioco, caratterizzati rispettivamente dalla
competizione, l’azzardo e la fortuna, la finzione (che comprende la maschera e il «teatro) e infine la vertigine, con un richiamo alle danze dei Dervishi rotanti. Poi passerà a definire il gioco come momento di distacco dalla realtà, che ci permette proprio per questo di metterci alla prova e di riappropriarci della realtà. «Il gioco è il simbolo del divertimento, della capacità di prendere la vita alla leggera - spiega Conti -. Mi soffermerò dunque sulla dialettica che il gioco richiede: occorre infatti impegnarsi senza prendersi troppo sul serio».
Del secondo incontro, «Prendersi gioco, essere giocati e giocare», don Enrico Parolari darà una lettura più psicologica, sottolineando inizialmente gli aspetti positivi del gioco (mettersi alla prova, stare con gli altri), per poi passare ad analizzare i due principali rischi. Il primo è quello di confondere il gioco con la realtà, il secondo rischio, invece, è quello di prendersi gioco degli altri, fino a manipolarli o sfruttarli per i propri fini.
Infine l’ultimo incontro, tenuto da don Tommaso Castiglioni, avrà un approccio più spirituale e teologico. Il titolo, «Diventare bambini», richiama il passo evangelico «Se non ritornerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli», dove bambino va inteso come colui che gioca. L’idea di partenza è quella di considerare la liturgia come gioco, ovvero momento in cui ci si estranea dalla realtà, per assumere un ruolo diverso, quello di chi vive nell’assemblea l’incontro con Dio. «Nell’esperienza liturgica - anticipa Castiglioni - il credente ha la possibilità di ristrutturare la propria identità esattamente come avviene nel gioco. La liturgia mette nelle condizioni di ritornare alla verità dell’essere umano, ovvero l’essere figlio di Dio”.
Ylenia Spinelli

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