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Prato: morti in un incendio alcuni cinesi. Il mio commento a Radio Marconi


Questa mattina alle ore 10, e in replica alle 17.40, sono intervenuto a Radio Marconi commentando l'episodio di cronaca avvenuto ieri a Prato: la morte di alcuni cinesi causata da un incendio divampato nella fabbrica dove lavoravano ed abitavano.

   Siamo alle solite: si parla di qualcosa a partire da una emergenza. Grave, certamente. E mortale, come abbiamo visto. Ma guai a leggere un fenomeno basandosi solo su episodi.
Ricordo solo qualche numero per inquadrare la riflessione. I cinesi in Italia sono 200.000: 20mila a Milano; 12mila a Roma;
11mila a Prato.
Nelle scuole italiane gli alunni cinesi sono circa 25mila, la quarta etnia dopo gli albanesi, i marocchini, e i romeni.
Questo significa allora che non possiamo reagire a queste tragedie esprimendoci con luoghi comuni.

   Certamente però qualcosa di più va fatto in ordine a questo tipo di immigrazione. Anche perchè queste persone non arrivano coi barconi, da rotte sfuggenti. Ma attraversano frontiere legali.
E come, nel caso di cronaca, lavorano e vivono in capannoni. Quindi in luoghi conosciuti e identificabili. Non in sottoscale fuori mano.
Qui sono morte delle persone ridotte in schiavitù. E non e possibile lavarsi la coscienza affermando che il pericolo era stato denunciato.
Anche se, dicono gli esperti, un certo tipo di ditte straniere quando delinquono sono intestate a prestanome e con le leggi vigenti lo Stato è impotente.
Tuttavia non credo ci si possa dire razzisti se non si permette di aprire una fabbrica/dormitorio o nel caso la si fa chiudere.
Qui ritorna il tema dei controlli in Italia. Che vale pure in generale e non solo per i cinesi. Basti pensare allo stato in cui versano gli edifici scolastici.

   Chi sono i cinesi in Italia. Provengono prevalentemente dalle stesse zone del loro paese. E, a differenza di quanto si possa pensare, non da quelle più depresse. Partono dalle aree più dinamiche, più collegate, dove è più facile trovare i soldi e le soluzioni per emigrare. Essi non giungono nel nostro Paese per fuggire da una situazione di miseria estrema, ma per migliorare la propria condizione economica. Sono grandi lavoratori anche nella loro terra. Il loro sogno, dopo aver saldato il debito lavorando qualche anno sottopadrone, è quello di mettersi in proprio.
E l'Italia, a differenza di altre mete, è scelta – almeno per le prime generazioni - come una tappa di un percorso migratorio che prevede il rientro in Cina.

  È per questo motivo, tra l'altro, che l'apprendimento dell'italiano, sicuramente un'impresa dispendiosa in termini di tempo e comunque non necessaria allo scopo di questa fascia, viene affidata alla seconda generazione, che cresce e si scolarizza in Italia e che vive una condizione di completo bi-culturalismo. Il dato certo in ogni migrazione è sempre quello: chi ha la famiglia con sé tende ad integrarsi, i single no. Una politica efficace allora non è quella del respingimento, ma della riunificazione famigliare.

  Non facciamo cortocircuiti moralistici. Attribuendo colpe generalizzate. Tuttavia non dobbiamo nasconderci che sono tanti gli italiani che comprano prodotti cinesi a basso prezzo. Possibile che si scopra il motivo del low cost solo dopo una tragedia?

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