Nei prossimi giorni, il
28 e il 29 marzo, si svolgerà, per la prima volta in tutto il mondo,
l’iniziativa “24 Ore per il Signore” con lo scopo di avvicinare
i fedeli al Sacramento della Penitenza o della Riconciliazione. Il
Sacramento scaturisce direttamente dalla Pasqua di Cristo, dalla sua
passione, dalla sua morte e dalla sua
risurrezione. Infatti, la sera
di Pasqua il Signore Risorto apparve ai discepoli, chiusi nel
cenacolo e, dopo aver rivolto loro il saluto: “Pace a voi”,
soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a
cui perdonerete i peccati, saranno perdonati” (Gv 20, 21 -
23).
Le parole del Risorto
svelano due aspetti importanti di questo Sacramento. Innanzitutto, il
fatto che il perdono dei peccati commessi non è qualcosa che l’uomo
possa darsi da solo. Nessuno può dire: “Io mi perdono i miei
peccati!”. Il perdono si chiede a un altro e nella Confessione la
richiesta è fatta al Padre per la mediazione del suo Figlio. Così
“il perdono - ha spiegato Papa Francesco - non è frutto dei
nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che
ci ricolma del lavacro di misericordia e di grazia che sgorga
incessantemente dal cuore spalancato del Cristo crocifisso”
(Udienza generale del 19/02/14). Inoltre, le parole di Gesù
ricordano che, solo se ci lasciamo riconciliare col Padre e con i
fratelli, possiamo essere veramente nella pace. E questo è
esperienza di tutti: si va a confessarsi, con un peso nell'anima, con
un po' di tristezza e quando si riceve il perdono del Signore,
tramite il sacerdote, ci si sente in pace, in quella pace dell'anima
così forte, che soltanto Gesù può dare.
Alcuni incontrano
difficoltà ad accostarsi alla Confessione a motivo di dover
ricorrere alla mediazione di un altro uomo, per questo vorrebbero
riconciliarsi direttamente con Dio. Certamente questo sarebbe più
facile. Le parole di Gesù costituiscono gli apostoli e i loro
successori e collaboratori mediatori del perdono. Non basta chiedere
perdono al Signore nella propria mente e nel proprio cuore, ma è
necessario confessare umilmente e fiduciosamente i propri peccati al
ministro della Chiesa. “Nella celebrazione di questo Sacramento -
ha detto ancora il Papa - il sacerdote non rappresenta soltanto
Dio, ma tutta la comunità, che si riconosce nella fragilità di ogni
suo membro, che ascolta commossa il suo pentimento, che si riconcilia
con lui, che lo rincuora e lo accompagna nel cammino di conversione e
maturazione umana e cristiana”. Uno potrebbe dire: “Io mi
confesso soltanto con Dio”. Sì, certo, egli può dire a Dio:
“Perdonami” e riconoscere i suoi peccati; ma i peccati di
ciascuno sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa. Per questo è
necessario chiedere perdono alla Chiesa, ai fratelli, nella persona
del sacerdote.
A volte si prova vergogna
a dire al ministro i peccati commessi. Il Papa incoraggia: “Anche
la vergogna è buona, è salute avere un po' di vergogna, perché
vergognarsi è salutare”. La vergogna fa bene perché rende più
umili e il sacerdote riceve con amore e con tenerezza questa
confessione e in nome di Dio perdona. Già dal punto di vista umano,
è liberante parlare con il fratello sacerdote e dirgli cose che sono
tanto pesanti nel cuore. È lecito sfogarsi con Dio, con la Chiesa,
con il fratello. “Non avere paura della Confessione!” dice Papa
Francesco. Forse quando si è in coda per confessarsi si sentono
tante difficoltà, si avverte il peso del male compiuto ed anche la
vergogna. Ma poi, quando finisce la Confessione, ciascuno esce
libero, grande, bello, perdonato, bianco, felice. Egli tocca davvero
con mano la grazia di Dio che ha ricevuto nel Sacramento. Provare per
credere!
Marco Doldi
Agensir
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