Don
Rocco Pennacchio, economo della Cei, traccia il bilancio del convegno
che ha messo al centro il motu proprio 'Intima ecclesiae natura', a
partire da una considerazione: "Non mi sembra che la Chiesa stia
vivendo una crisi di credibilità o reputazione, anche per merito
della bella testimonianza che ci sta dando Papa Francesco". Non
mancano, però, i contraccolpi legati alle difficoltà economiche
generali
Non
basta fare la carità: questa va organizzata, ed è compito degli
economi delle diocesi, chiamati a operare come amministratori fedeli
e prudenti. Centri d’ascolto e di accoglienza, mense, esperienze di
housing sociale, microcredito e contrasto all’usura: molteplici e
differenziate sono le opere caritative messe in campo dalle Chiese
locali, grazie alle offerte dei fedeli e ai fondi derivanti dall’8
per mille dell’Irpef per la Chiesa cattolica. La crisi morde, ma
anche in questo frangente non è venuta meno la solidarietà. Dopo il
convegno degli economi diocesani, tenutosi la settimana scorsa a
Salerno su “Il
servizio della carità: responsabilità e
organizzazione nelle Chiese particolari alla luce del motu proprio
‘Intima ecclesiae natura’”, il Sir ne parla con l’economo
della Cei, don Rocco
Pennacchio.
Come
rispondono le diocesi a un’esigenza caritativa che si fa sempre più
sentire?
“La
Chiesa per secoli ha svolto un’attività caritativa contando
esclusivamente su fondi provenienti dalla valorizzazione del proprio
patrimonio e dalla carità dei fedeli. Dal 1990 vi sono anche le
risorse derivanti dall’8 per mille. Queste sono importanti,
specialmente in un periodo in cui la crisi attanaglia sempre più le
famiglie, facendo emergere nuove povertà. Ma la carità, nella
Chiesa, non è mai venuta meno”.
Al
convegno lei ha fatto cenno a risorse dell’8 per mille che hanno
“valenza di stimolo, di start up…”.
“Quando
una diocesi intende realizzare un’iniziativa nuova - che sia una
mensa, un centro di accoglienza, un dormitorio ecc. - non deve
contare solo sull’8 per mille, ma interrogarsi sulla sostenibilità
del progetto nel tempo e sulla possibilità di avviare l’opera
anche con altre risorse. L’8 per mille è una risorsa aggiuntiva,
che deve servire da stimolo, ma sempre in presenza di altri soggetti
disposti a impegnarsi”.
La
crisi ha intaccato la disponibilità economica delle persone: ne
risentono le offerte alla Chiesa?
“Le
collette nazionali degli ultimi anni hanno registrato un andamento
discendente: in particolare la Giornata missionaria mondiale - che
storicamente è quella con maggiore consenso - quest’anno avrà una
riduzione particolarmente significativa. E pure le offerte deducibili
per il sostentamento del clero sono in calo”.
Non
c’è il rischio che, tra collette nazionali “ordinarie”, altre
per eventuali emergenze, esigenze delle diocesi e delle singole
comunità parrocchiali si frammenti la carità?
“Le
collette ‘obbligatorie’ indicate dalla Chiesa italiana non sono
molte. Poi è vero che le parrocchie sono bersagliate da tante
richieste, anche da parte di realtà del territorio. Ma ritengo che
si debba far crescere l’ecclesialità tra la nostra gente, far
capire che le esigenze a livello mondiale o nazionale non sono meno
importanti di ciò che si fa sul territorio. Certo, da parte della
Chiesa ci vuole sempre maggiore trasparenza per documentare come
vengono finalizzate queste collette”.
Pensa
che vi sia diffidenza da parte dei fedeli nel donare?
“Non
mi sembra che la Chiesa stia vivendo una crisi di credibilità o
reputazione, anche per merito della bella testimonianza che ci sta
dando Papa Francesco. Per quanto riguarda le firme dell’8 per
mille, è vero che sono diminuite, ma si tratta di un calo poco
sensibile: ancora oggi l’82% dei cittadini sceglie la Chiesa
cattolica”.
C’è
chi attribuisce questo calo a semplificazioni del sistema fiscale, ad
esempio per quanto riguarda i contribuenti esentati dalla
presentazione della dichiarazione…
“L’Ufficio
Cei per la promozione del sostegno economico alla Chiesa monitora
queste semplificazioni e ci sono iniziative promosse a livello locale
per favorire la raccolta delle firme, nel rispetto della sensibilità
di ciascuno. Bisogna venire incontro a chi vorrebbe firmare, ma è
nell’impossibilità di farlo, magari perché occorrono competenze
di tipo informatico: l’Inps, ad esempio, ora manda il Cud in
formato elettronico…”.
Il
motu proprio cui fa riferimento il convegno chiede di mantenere
chiara la propria identità, evitando finanziamenti “da enti o
istituzioni che perseguono fini in contrasto con la dottrina della
Chiesa”. Un richiamo valido anche per le nostre realtà ecclesiali?
“Sì:
ci sono due possibili rischi. Il primo è che una massiccia affluenza
di contributi pubblici svilisca l’identità religiosa dell’opera,
facendo perdere il controllo all’ente ecclesiastico che l’ha
promossa. Il secondo è che vi siano enti, originariamente collegati
alla Chiesa, che nel tempo hanno perso quella sensibilità cristiana
che li aveva ispirati. Ci vuole molta attenzione e, se non è
tutelata l’identità religiosa dell’opera, meglio lasciar perdere
piuttosto che creare occasioni di scandalo”.
Francesco
Rossi
Agensir
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