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Post - it sul frigorifero, meditazioni a Radio Marconi


Prefazione

La nostra vita quotidiana è fatta di piccoli oggetti e di minuscole abitudini più che di grandi ideali o di slanci eroici. E' proprio in questa fitta trama di gesti apparentemente banali che si annida la tentazione di rimanere sempre uguali a noi stessi e di rinunciare a puntare più in alto di quanto la nostra pigrizia ci consenta.
Ecco perché il segreto di una giornata vissuta con uno spirito diverso può assumere la forma di un banalissimo bigliettino giallo appiccicato sul più quotidiano degli elettrodomestici, il nostro frigorifero. La metafora che don Massimo usa per presentare le brevi riflessioni che ha suggerito agli ascoltatori di Radio Marconi è tutt'altro che banale: un piccolo pensiero è quanto basta, talvolta, per offrire un sapore diverso alle nostre giornate.
Se poi questo pensiero affonda saldamente le radici nel tesoro che la Parola rappresenta per un credente, il gioco è fatto. Le riflessioni che leggerete tra poco sono state trasmesse da Radio Marconi all'inizio della programmazione quotidiana, quasi a voler sottolineare come il primo passo sia quello più importante per decidere il ritmo della giornata che comincia.
Spesso i nostri buoni propositi di approfondimento e meditazione si scontrano con la fretta e la scarsa disponibilità di tempo: sarebbe bello poter contare su ampi spazi da dedicare a noi stessi e al nostro rapporto con il Signore, ma le nostre giornate ci spingono in altre direzioni, quasi senza che ce ne rendiamo conto. I pensieri di don Massimo ci dimostrano come la buona abitudine di un piccolo spazio di riflessione all'inizio della giornata possa diventare un'occasione preziosa per rompere quell'inerzia che ci induce ad affrontare ogni giornata come se fosse assolutamente identica alle altre. Il gesto automatico di chi apre il frigorifero per recuperare gli ingredienti della propria colazione, grazie a un piccolo post-it, diventa un'occasione per guardare con occhi diversi la propria giornata e soprattutto le persone che la popoleranno.

Fabio Pizzul
Direttore di Radio Marconi
Introduzione

Recentemente ho partecipato ad un incontro organizzato, tra gli altri, dall’ambasciata indonesiana in Italia. Il ministro di quella Repubblica, intervenuto al convegno, si è introdotto con un aneddoto. In Indonesia, ha detto, tutti hanno il frigorifero; persino quelli che abitano nelle isole più dissite. Molti però lo usano come un armadio a causa della scarsa energia elettrica erogata a singhiozzo.
Da quel giorno l’immagine del “frigorifero global” (… sul quale, quasi ovunque, ci sta spesso una radiolina), usato anche impropriamente, mi vortica davanti agli occhi. Quello che vale per l’elettrodomestico, mi son detto, vale forse anche per la coscienza. Tutti l’abbiamo. Il discrimine perciò non è il possesso, bensì l’energia. La Parola di Dio - letta e spezzata quotidianamente - è esattamente il carburante cui qui mi riferisco. E la lodevole iniziativa di Radio Marconi, di iniziare la giornata con due minuti di riflessione, si pone in questa linea.
Anche la presente modesta raccolta dei commenti che ho tenuto alla radio intende partecipare, a chi la leggerà, la stessa intuizione energetica.
Come, riprendendo il titolo, ha evocato Fabio Pizzul - nella prefazione che mi ha gentilmente regalato e di cui condivido il taglio interpretativo - i pensieri che qui riporto hanno l’organicità dei post-it incollati sul frigorifero e quindi anche la loro forma espositiva: non ci sono note, non citazioni bibliografiche compiute, non coerenza interna. I testi proposti racchiudono interventi da me tenuti alla radio in varie occasioni. Qualcuna più individuabile (un santo particolare, una ricorrenza nota, ecc.), qualche altra meno. Tutti i brani però sono introdotti da un versetto che richiama l’intero episodio evangelico commentato, i cui riferimenti stanno tra parentesi.
Nonostante l’esile imbastitura di questi scampoli di idee mi piace pensare che, come capita nella vita ordinaria, proprio grazie ai post-it qui offerti lo spirito di qualcuno non manchi ad un Appuntamento importante, non si dimentichi di assumere qualche Medicina, ricordi di comprare il Pane del cammino…
Forse tutto ciò può sembrare noiosamente quotidiano, comune. Tuttavia si sa che - per dirla con un’espressione attribuita ad Abramo Lincoln - “Dio preferisce le persone di aspetto comune; perciò ne ha fatte tante”.
A queste consegno le presenti pagine.



1. Chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato è veritiero (Gv 7,14-24)

Meraviglia. E’ questo il clima che aleggia sulla pagina evangelica odierna. In genere la meraviglia è associata ad un sentimento di rispetto e di gioia. Tuttavia può richiamare pure una sorpresa che sconcerta e indispone; magari per una richiesta che pare ingiustificata e forse anche pretenziosa. Entrambe le tipologie qui si intrecciano. Da una parte ci sono i Giudei che esprimono un imbarazzo. Diffidenza, incomprensione, ostilità: chi lo ha costituito maestro? Dall’altra parte c’è la risposta di Gesù, disarmata, semplice, schietta; e inattesa. Egli, infatti, sostiene di non trarre legittimazione da un’autorità esterna alla Legge, bensì direttamente da colui che quella parola ha pronunciato. Egli non insegna la norma, ma la vive. Questa è la vera differenza con i suoi interlocutori. E questa prassi gli dà maggiore credibilità. Autenticità di vita e annuncio esplicito, potremmo allora dire, come cartina di tornasole anche per il vero discepolo. Mi torna in mente, a tal proposito, quanto scriveva P. Ernesto Viscardi - un caro amico, missionario in Mongolia - lasciando l’occidente. Così meditava: “Soprattutto l’Europa (ma vale anche per altri continenti), nel suo travaglio religioso-culturale, è alla ricerca di essenzialità e autenticità di vita, di persone trasparenti, il cui linguaggio è autenticato da un coerente vissuto. (…) Mai come in questi tempi l’annuncio esplicito della Parola ritorna ad essere elemento centrale della prassi missionaria-pastorale”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

2. Chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete (Gv 7,25-31)

Continua, nel brano odierno, la fatica del dialogo tra Gesù e alcuni suoi interlocutori. Ciò non blocca però la relazione. Ogni comunicazione, del resto, richiede sempre a ciascuno di riposizionarsi, e questa chance Gesù la offre sempre. La fatica, infatti, non è il colore dominante della scena: Molti della folla invece credettero in lui. Così si conclude il testo appena letto. E da qui bisogna partire per seminare con coraggio la speranza che abbiamo ricevuto in dono.
Proprio quanto esemplarmente, da oggi, farà il Papa pellegrino in Terra santa. Il “resto di Israele” attira la sua paternità. Lui stesso, descrivendo i motivi del viaggio, ha sottolineato: “Con la mia visita mi propongo di confermare e di incoraggiare i cristiani di Terra Santa (…). Quale Successore dell’apostolo Pietro, farò loro sentire la vicinanza e il sostegno di tutto il corpo della Chiesa. Inoltre, mi farò pellegrino di pace, nel nome dell’unico Dio che è Padre di tutti. Testimonierò l’impegno della Chiesa Cattolica in favore di quanti si sforzano di praticare il dialogo e la riconciliazione, per giungere ad una pace stabile e duratura (…). Infine, questo viaggio non potrà non avere una notevole importanza ecumenica e inter-religiosa. Gerusalemme è, da questo punto di vista, la città-simbolo per eccellenza: là Cristo è morto per riunire tutti i figli di Dio dispersi”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

3. Ancora per poco sono con voi. Dove sono, non potete venire (Gv 7, 32-36)

Ancora per poco tempo sono con voi. L’invito ad approfittare della Grazia, senza distrazioni, è evidente. Gli uomini del tempo di Gesù, ma forse gli uomini di sempre, spesso si perdono nel rincorrere quesiti marginali o nel coltivare ipotesi fanciullesche - dove andrà? E chi lo ha detto che non lo troveremo? - perdendo di vista l’essenziale. L’essenziale che è, paradossalmente, invisibile agli occhi. Qui l’incomprensione, ancora una volta, invece di spingere verso un atteggiamento di disponibilità e di abbandono fiducioso fa chiudere a riccio. Il sentito dire guida le decisioni (udito questo mandarono delle guardie per arrestarlo) e la testimonianza si indebolisce (la gente andava dicendo sottovoce queste cose del Signore Gesù).
Un’esperienza per noi non nuova, la Bibbia ne racconta frequentemente, ma passibile di essere modificata. E anche qui il testo sacro lo testimonia. Pensiamo per esempio a san Paolo, del quale stiamo celebrando l’anno a lui dedicato, e all’effetto della sua conversione. L’urgenza della missione è la cifra distintiva. Il teologo Bruno Forte scrive al riguardo: “Un uomo toccato da Dio in una maniera così profonda, da vivere il resto dei suoi giorni mosso dall’unico desiderio di comunicare agli altri l’esperienza di amore gratuito e liberante fatta nell’incontro col Signore Gesù: tale fu Paolo”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

4. Glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te (Gv 17, 1b-11)

La preghiera di Gesù innalzata in questo capitolo è in stretta relazione con il Prologo. Se là si formulava la realizzazione del progetto divino in Gesù, qui si espone la fondazione della comunità attraverso la comunicazione della stessa gloria. Il progetto divino, realizzato in Gesù, deve essere realizzato anche nei suoi. In quella che si può considerare la versione del Padre nostro nel IV Vangelo, Giovanni ci trasmette l’essenziale dell’esistenza cristiana e il suo orizzonte. La preghiera presenta una progressione: dagli attuali credenti a coloro che crederanno sino all’auspicio che il mondo creda. Anzi, questo è il frutto, o la finalità dell’unità dei discepoli con Gesù e con il Padre.
La continuazione della comunità, come servizio alla fede, è garantita però necessariamente pure da un mantenimento materiale. L’odierna giornata nazionale di sensibilizzazione per il sostegno economico della Chiesa ci permette di citare questo aspetto ricollocandolo nel proprio contesto naturale e sfrondandolo da ogni altra motivazione. “Celebrare questa Giornata contribuisce senz’altro a far crescere la corresponsabilità dei fedeli alla vita della Chiesa”, ha affermato, per esempio, Paolo Mascarino, responsabile del Servizio per la C.E.I. “Ogni firma per la Chiesa, ha continuato, dovrebbe essere vissuta come un gesto di partecipazione consapevole alla sua missione, per evitare il rischio dell’abitudine e del disimpegno”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

5. Quando avrete innalzato il Figlio, conoscerete che Io Sono (Gv 8,21-30)

Gesù continua a parlare dell’unità del Padre e del Figlio. Il Padre ha inviato il Figlio. Ma Egli sarà riconosciuto quando sarà innalzato. Quando ciò avverrà, Gesù apparirà come il ponte tra i due mondi: quello di quaggiù e quello di lassù. In questo modo si potrà vedere o almeno intuire che Gesù riconcilia le due sfere poiché di entrambe egli è cittadino. Vi appartiene sia per natura sia per obbedienza. E viene descritto - è la chiusura del brano evangelico - a partire dalla relazione col Padre e con la comunità: “Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite”. A queste sue parole, molti credettero in lui.
L’anello di congiunzione tra la storia e l’eternità è quindi Cristo. Non possiamo qui allora non censurare il comportamento di certi credenti che a questo unico e solido anello ne aggiungono arbitrariamente altri formando così una catena che il più delle volte lega loro ed i loro amici.
Questo vale, ad esempio, per le pratiche più apertamente antievangeliche, come la magia o la cartomanzia, che contribuiscono a creare una mentalità del “non fare”, del “non agire”, in attesa che qualche “potere esterno” risolva i problemi quotidiani.
Ma vale pure per alcune deviazioni del sentimento religioso che possono anche presentarsi mascherate sotto il culto che rendiamo al vero Dio, per esempio quando si attribuisce un’importanza in qualche misura magica a certe pratiche, peraltro legittime. L’unico anello, dicevo, è Cristo.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

6. Non ti lapidiamo per un’opera, ma per una bestemmia (Gv 10, 31-42)

L’affermazione di Gesù, quella di essere il Messia, provoca ancora una volta la reazione dei rappresentanti ufficiali dell’ortodossia religiosa. Capita qui quello che si è ripetuto, troppe volte, nella storia: uccidere l’inviato di Dio e giustificare il delitto basandosi su esigenze che Dio stesso si suppone imponga nella propria legge. Paradossi. I credenti vedono in Gesù il rivelatore del Padre; uno che li libera dai loro peccati. Gli increduli lo considerano invece come un blasfemo per le sue pretese di rappresentare Dio. Ed, infatti, dicono: Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio. E’ un po’ la sorte che capita, ancora oggi in molte parti del mondo, ai consacrati: non si nega loro il pregio dell’umanità, ma quello della rappresentanza del divino. Per fortuna ci sono però anche evidenze diverse. In questo giorno in cui nel seminario diocesano si celebra la Festa dei fiori - una festa dedicata ai preti novelli e a coloro che ricordano gli anniversari di sacerdozio - vogliamo esprimere la nostra gratitudine a Dio. Lo facciamo citando la Lettera ai sacerdoti del 1989 di Giovanni Paolo II: “Il Popolo di Dio, scriveva, gioisce della vocazione sacerdotale (…). In questa vocazione esso trova la conferma della propria vitalità nello Spirito Santo, la conferma del sacerdozio regale, mediante il quale Cristo (…) è presente nelle generazioni degli uomini e nelle comunità cristiane”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

7. Chi ama la propria vita la perde, chi la odia la conserverà (Gv 12,20-28)

I Greci, citati dal Vangelo, rappresentano tutti i non giudei, i popoli pagani. Anche a loro i discepoli devono prestare attenzione poiché essi pure nutrono il desiderio, quasi istintivo in ogni uomo, di vedere Gesù. Ma l’episodio raccontato ha lo scopo soprattutto di indicare che è giunta l’ora di Gesù, l’ora della sua glorificazione attraverso la morte e la resurrezione. Nella teologia giovannea, infatti, la missione dei discepoli - verso tutti gli uomini - può iniziare solo con la partenza del Signore.
Un’eclissi sui generis - come quella del seme nascosto in vista della fioritura - che in questa pagina suona anche come metodo suggerito ai discepoli affinché la predicazione sia efficace.
Di questo metodo la vergine Maria, che oggi ricordiamo col titolo di Fatima, ne è l’incarnazione. Il santo curato d’Ars - la cui figura incontreremo nel pellegrinaggio diocesano del prossimo luglio - di lei così parlava: “Se vediamo la Madonna abbassarsi, nella sua umiltà, al di sotto di ogni creatura, vediamo quest’umiltà innalzarla anche al di sopra di tutto ciò che non è Dio.
No, non sono i grandi della terra che l’hanno fatta salire a quel supremo grado di dignità nella quale abbiamo la gioia di contemplarla oggi.
(…) Non capiremo mai abbastanza la grandezza di Maria (…); non conosceremo mai bene il desiderio che ella ha di renderci felici.
Ella ci ama come figli. (…) Sì, Maria è la nostra mediatrice”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

8. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi (Gv 15, 9-17)

Il Padre ha preso l’iniziativa - in questo movimento di amore - inviando, per amore, il suo Figlio. Il Figlio accetta e porta questa corrente d’amore agli uomini. Solo così il movimento può cominciare il percorso inverso: dall’uomo a Cristo e da Cristo al Padre. Questo circolo dell’amore, e della risposta nell’ubbidienza che lo garantisce, costituisce il nucleo essenziale della fede cristiana e del vero discepolato.
Una relazione oggettivamente non certo tra pari, ma che così è stata voluta. Un’amicizia per elezione, poiché ogni iniziativa di questo genere parte sempre da Dio. Ciò non significa però che l’amicizia sia l’unico criterio per l’evangelizzazione. Infatti, Gesù continua: Vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga. E’ necessaria quindi una formazione personale strutturata (costituiti) ed una progettazione pastorale che ci sopravviva, che il frutto rimanga. Così Gesù ha formato gli apostoli, tra cui san Mattia che oggi ricordiamo. Un noto missionario, p. Piero Gheddo, ha riassunto questo pensiero in una regola che vale sia per la missione ad gentes sia per la missione simpliciter: “Non mandare in continenti lontani nessuno (…) senza adeguata preparazione culturale e spirituale. (…) Per educare bisogna condividere, imparare una lingua, adattarsi ai costumi, donare se stessi nell’amicizia, per ascoltare e imparare dall’altro, diventare fratelli”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

9. Non sono venuto per condannare, ma per salvare il mondo (Gv 12,44-50)

Gesù esclamò. Il verbo è usato in Giovanni solo in quattro occasioni e designa sempre un’autopresentazione di Gesù stesso. Nel brano ascoltato compare per l’ultima volta in veste quasi di riassunto dei principali temi. a) Credere in Gesù significa credere e vedere colui che lo ha mandato. b) Gesù è poi la luce, la sua missione è portatrice di salvezza. c) La sorte e il destino dell’uomo si decidono inoltre nel dilemma fede-incredulità; un dilemma che vede, per contro, quello della salvezza-condanna. d) Infine, la venuta di Gesù aveva come unico scopo di comunicare la vita. Forse, a partire da questo schema, è necessario allora che pure noi si faccia un’analoga operazione di verità. Chi siamo? Cosa crediamo e cosa trasmettiamo? Tante volte ci pare che il contesto di scristianizzazione ci tolga l’essenziale. Ma è vero? Mons. Giuliano Agresti, indimenticato vescovo di Lucca, riflettendo sulle priorità del credente scriveva profeticamente già 20 anni orsono: “Forse non succede anche oggi che la scristianizzazione riguarda tanta gente che non sa (…) quasi nulla del Dio cristiano (…) e che quindi se pur rimane in certo modo religiosa, veramente cristiana non è più da tempo? (…) La scristianizzazione non si rimedia a occhi chiusi e con compromessi sul dato cristiano, ma annunciando e testimoniando tutta la verità della fede col coraggio affettivo di chi non spegne i lucignoli fumiganti”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

10. Un servo non è più grande del suo padrone (Gv 13,12a.16-20)

È un Cristo particolarmente consapevole quello descritto da Giovanni. Ciò che qui emerge è, infatti, la serietà e la libertà con cui Gesù affronta la morte. Quello che capita non è certo casuale e senza senso: è previsto e non distrugge il piano di Dio. La morte, il tradimento, la croce, la solitudine dei discepoli nel mondo fanno parte del piano di Dio. E Cristo assume tutto questo liberamente. E lo condivide con amore nel segno del pane. Ma il verbo che Giovanni usa non è quello dell’amore umano bensì quello dell’amore religioso, potremmo dire, che si modella cioè su quello di Dio. La cena come agape è quindi esperienza di alleanza con Dio prima che esperienza umana. In questo mese, riservato usualmente alla celebrazione della Prima Comunione dei ragazzi, mi piace partecipare a voi ascoltatori allora alcune righe di una preghiera che ho sentito recitare ad alcuni genitori dei comunicandi. Diceva:

Signore, noi sappiamo che ogni dono di vita viene da te. (…)
Signore,
le traversie della vita potrebbero portare nostro figlio
su strade difficili e sbagliate. (…)
Ma siamo certi che nei momenti difficili
tu gli andrai incontro,
a lui che forse avrà più volte
fatto l’esperienza dell’errore e del peccato,
ma allora non potrà dimenticare
quella mattina di maggio
in cui, da bambino, tu ti sei abbandonato
nelle sue mani.
Non potrà dimenticare che in quel giorno
vi siete dette delle cose importanti e serie.

Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

11. Chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio (Gv 15,26-16,4)

La prima esperienza della Chiesa fu la persecuzione. I cristiani furono perseguitati prima dai giudei e poi dai gentili. L’evangelista, utilizzando le parole di Gesù, afferma di conseguenza che la persecuzione e l’odio sono normali per un cristiano. Egli, infatti, non è del mondo, non gli appartiene. Dà testimonianza contro il mondo col proprio stile di vita. Tuttavia la separazione tra Chiesa e mondo non ha un senso sociale ma teologico. Per questo motivo la persecuzione - tra virgolette - non è solo fisica o regionale bensì esistenziale.
Ma perché continui l’amore che Gesù ha donato è necessario che continui pure la testimonianza. Ecco introdotto allora lo Spirito col compito di difendere - come un avvocato - i testimoni. Egli richiamerà alla memoria dei discepoli le parole di Gesù, interpretandole e approfondendole. E’ il tempo della Chiesa. Il Concilio Vaticano II, nella Lumen Gentium, individua tra l’altro proprio nel martirio uno degli elementi che unisce le diverse confessioni cristiane: Con queste, si legge, “la Chiesa sa di essere per più ragioni unita. Ci sono, infatti, molti che hanno in onore la sacra scrittura (…) sono segnati dal battesimo, (…) celebrano la sacra eucarestia. (…) (Inoltre si ha) una certa vera unione nello Spirito santo, poiché anche in loro lo Spirito, con la sua virtù santificante, opera per mezzo di doni e grazie, e ha fortificati alcuni di loro fino allo spargimento del sangue”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

12. Come io ho amato voi, amatevi anche voi a vicenda (Gv 13,31-36)

Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Ma in cosa consiste questa novità? Dopo tutto, già nel Levitico si insegnava ad amare il prossimo come se stessi. Ci troviamo di fronte, allora, ad una raccolta - per dir così - di tutti i significati del comandamento. Nuovi e antichi. Da quello del Levitico, per esempio, che associava al concetto di prossimo anche lo straniero che abita in mezzo a voi sino a Matteo il quale invitava ad amare i nemici. L’amore vicendevole dei cristiani ha quindi caratteristiche speciali, poiché riflette l’amore che esiste tra il Padre e il Figlio. E l’esistenza di questo amore deve essere la grande caratteristica del cristianesimo. Una caratteristica che deve testimoniare, a quelli di fuori, come coloro che praticano questo amore sono fedeli ad un insegnamento, quello del maestro. Da lui traggono forza e non certo da una propria ispirazione che si indebolisce se legata alla sola volontà umana.
L’amore poi è tanto più autentico quanto più è gratuito. Scrive Armando Moore, con lapidaria incisività: “La carità va donata subito al primo viandante che incontriamo. Non c’è responsabilità maggiore che tenersela, in attesa della grande occasione che non verrà mai”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

13. Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e in me (Gv 14,1-6)

Le prime parole del Maestro sono una domanda: che cercate? La vera risposta al quesito è data dallo stesso Cristo in questo capitolo: nella casa del Padre mio, vi sono molti posti. Si tratta di un’evidente parola di rassicurazione - per i discepoli delusi - dopo che nel capitolo precedente era stato annunciato il commiato di Gesù.
I discepoli - questo è l'invito - devono credere in Gesù esattamente come credono in Dio. Devono credere che la sua partenza è un bene per loro, poiché essa apre la via per andare insieme al Padre. E l'insistenza sulla via - che per il tratto maggiore si svolge nel nostro mondo - non è senza significato, come vedremo tra poco.
La partenza di Gesù comporta inoltre il suo ritorno. Altrimenti la sua missione sarebbe incompleta. Ma anche il ritorno è atipico: ci sarà un primo ritorno, dopo la resurrezione, e ce ne sarà uno definitivo secondo i tempi di Dio.
La rassicurazione di Gesù, dicevamo, non riguarda solo l’al di là, ma contempla pure il presente. Papa Giovanni XXIII ne parlava, per esempio, in questi termini: “Solo per oggi cercherò di vivere alla giornata senza voler risolvere il problema della mia vita tutto in una volta. Solo per oggi non pretenderò di disciplinare nessuno tranne me stesso. Solo per oggi compirò una buona azione e non lo dirò a nessuno. Solo per oggi sarò felice, nella certezza che sono stato creato per essere felice non solo nell'altro mondo ma anche in questo”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.
14. Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,7-14)

Mostraci il Padre e ci basta. Gesù parla spesso e volentieri della sua relazione col Padre. Ma i discepoli, per bocca di Filippo, qui vorrebbero qualcosa di più immediato: una visione diretta del Padre, così da averne un’immagine quasi cristallizzata. Questa preghiera di Filippo è tuttavia contraria proprio al prologo del vangelo di Giovanni: nessuno ha mai veduto Dio.
Può essere un desiderio naturale, però Dio ha scelto di farsi conoscere in maniera indiretta, attraverso la sua parola; anche perché comprendere Dio, inserirlo nelle nostre coordinate cognitive, sarebbe impossibile.
Dio lo si conosce per approssimazione, potremmo dire. Nel duplice significato che ha questo termine: approssimazione come conoscenza imprecisa; approssimazione come avvicinamento graduale.
In questo percorso si conosce e ci si conosce. Si tratta della stessa conoscenza esperienziale che un bambino fa della madre e, attraverso di lei, dell’intera esistenza.
Il teologo H. U. Von Balthasar lo racconta in questo modo: “L’amore della madre chiama il bambino alla coscienza di sé rivelandogli quattro cose: che egli è uno nell’amore con sua madre; che questo amore è buono e dunque tutto l’essere è buono; che questo amore è vero e dunque tutto l’essere è vero; che questo amore provoca gioia, dunque l’essere è bello”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

15. Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! (Lc 24,36b-53)

La liturgia ambrosiana, con la riforma del calendario liturgico, ci propone oggi di celebrare la solennità dell’Ascensione nel giorno proprio, cioè nel 40° giorno del Tempo pasquale.
Per certi versi, il ricordo di Gesù che sale al cielo ha il sapore di un abbandono. Per questo, soprattutto nei momenti bui della vita, può tornare il dubbio del Venerdì santo: Ma allora è stata tutta un'illusione! In realtà, la festa dell'Ascensione è la festa della presenza del Signore. Per questo, la Chiesa ci spinge a ricordare il suo incoraggiante rimprovero - Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore?- e soprattutto la sua promessa: Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.
Soltanto così Gesù riesce ad essere ovunque noi siamo. Certo, non sappiamo come e dove viva Gesù risorto. Ma la fede della Chiesa ci rassicura che Gesù ora vive come Dio. E proprio il fatto che egli non viva più come noi gli permette di essere ancora di più accanto a noi, anzi in noi.
Questa presenza-assenza è vera sia per chi ne ha coscienza sia per chi non sempre riesce a darle un nome proprio, un indirizzo noto. Chiara Lubich, ad esempio, ne era certa quando diceva: “L’uomo porta con sé, come ferita insanabile, la nostalgia del soprannaturale: il divino lo tormenta, l’infinito lo perseguita, l’eterno lo attrae”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

16. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come quella del mondo (Gv 14,27-31a)

Il commiato di Gesù non è quello di un uomo qualsiasi che se ne va; egli ha già annunciato che tornerà per stare coi discepoli. Lascia quindi loro la pace. Un’offerta che nasce dalla volontà divina. Per questo Gesù dice la mia pace. In primo luogo perché egli l’ha raggiunta e la raggiungerà attraverso la morte. In secondo luogo, perché essa è un dono e non un premio.
Vado e tornerò a voi. Questo avvenimento, dicevamo poc’anzi, è singolare e crea una nuova situazione per i discepoli. Il credente deve rallegrarsi di tutto ciò, poiché l’andata di Gesù al Padre lo mette nella condizione di godere dei benefici di una nuova vita. Uno di questi è la possibilità di impegnarsi nelle cose del mondo al fine di portare a tutti quella stessa pace a lui promessa e donata. Don Oreste Benzi, semplice ed esplosivo profeta, sognava persino l’istituzione di un ministero della pace che desse evidenza all’impegno. Nel 2001 lo chiedeva al Presidente del Consiglio: “Avrei voluto che tra le fonti che lei ha ascoltato per l’elaborazione del suo programma di governo avesse ascoltato anche i barboni (…). Di tanti ministeri esistenti, avrei voluto che lei ne avesse aggiunto un altro: il ministero della pace. (…) Gli uomini hanno sempre organizzato la guerra. È arrivata l’ora di organizzare la pace. (…) E’ ipocrita parlare di oppressi (…), di poveri, senza smascherare chi opprime, chi emargina, chi fabbrica poveri”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

17. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto (Gv 15,1-8)

Se credere in lui era l’esigenza espressa nel capitolo precedente, qui Gesù ne propone un’altra, quella di rimanere in lui. L’esegesi attenta sottolinea come l’unico altro passo, con la stessa immagine, lo si ha a proposito dell’eucarestia. Perciò l’idea di rimanere in Cristo è in stretta connessione con l’eucarestia.
La vite, qui citata, è poi una pianta che esige molte cure. Gli ascoltatori lo sapevano. Come sapevano pure che il paragone - presente già nell’Antico Testamento - non riguardava in prima battuta l’impegno degli uomini, bensì l’opera di Dio. La vite quindi è Gesù e il vignaiolo è il Padre. Rimanere uniti alla vite permette sia di avere la vita sia di dare i frutti.
E’ questo il nuovo criterio col quale leggere le nostre esperienze. Esperienze che contemplano frutti buoni insieme a sentimenti cattivi: è qui che si deve potare, e non una volta sola, perché questi sentimenti si ripresentano sempre, seppure in modi diversi. Non c'è età della vita che non esiga cambiamenti e correzioni, e quindi potature.
Scriveva Igino Giordani, di cui è in corso la causa di beatificazione: “L’esistenza è un albero che cresce verso il cielo, per fiorire all’eternità. La vita non è che un processo di maturazione, mediante la purificazione che ne fa il dolore. Quando è matura, il frutto lo coglie Dio, che trapianta l’albero in paradiso”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.
18. Padre, non prego che tu li tolga dal mondo (Gv 17,11-19)

I credenti sono stati tentati, in un certo periodo della storia che non è mai terminato definitivamente, di andarsene dal mondo o di fondare città ideali ispirate al Vangelo dove la coerenza poteva costare meno. Gesù invece chiede di restare nel mondo, ben sapendo che la mentalità mondana può diluire il vino buono del vangelo. Perciò Gesù prega, perché gli uomini siano preservati dal maligno.
Anche al presente, in molte parti del mondo, essere di Gesù può richiedere uno sforzo eroico fuori dal comune. Pensiamo alla Cina, per esempio, nell’odierna solennità di Maria Ausiliatrice, che si venera con tanta devozione nel Santuario di Sheshan. Proprio per desiderio del Papa, oggi preghiamo per quei cristiani.
L’invito a una speciale orazione è inserito nella famosa lettera di Benedetto XVI ai cattolici cinesi, scritta nel maggio del 2007. Pur avendo un destinatario preciso, tutti sono chiamati in causa. Vi si legge: “Nella medesima Giornata i cattolici del mondo intero (…) mostreranno la loro fraterna solidarietà e sollecitudine per voi, chiedendo al Signore della storia il dono della perseveranza nella testimonianza, certi che le vostre sofferenze passate e presenti per il santo Nome di Gesù e la vostra intrepida lealtà al Suo Vicario in terra saranno premiate, anche se talvolta tutto possa sembrare un triste fallimento”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

19. Possono gli invitati essere in lutto finché lo sposo è con loro? (Mt 9,14-15)

Il Vangelo di oggi ci richiama al senso cristiano del digiuno che è quello dell'attesa dello sposo, della tensione al ritorno del Risorto.
Il digiuno cristiano assume forme diverse, non necessariamente legate al cibo. In molti casi, per esempio, può essere un digiuno dalle distrazioni, come la televisione, per stare a giocare con i figli, per leggere un buon libro, per sganciarsi dall'abitudine. L'importante è lo stile, la tensione verso lo Sposo. Tutto ciò che ci può ricordare questa tensione è bene accetto agli occhi di Dio. Un digiuno quindi autentico, solidale, senza ipocrisia ed esteriorità.
Accanto a questo digiuno scelto, c'è pure però quello accolto. Penso in particolare ai malati che devono, sotto ogni aspetto, essenzializzare la loro vita. Una riduzione di attività che tocca non solo i singoli ma spesso l'intero nucleo famigliare. Il Signore dà senso pure a questo vuoto. Il digiuno della salute invoca, infatti, di per sé l'attesa di Cristo, chiede come nutrimento la speranza. Il cardinale Dionigi Tettamanzi, cui oggi va il nostro augurio per il suo onomastico, nel programma pastorale sulla famiglia, ha scritto al riguardo: “Tutti ringrazio, tutti incoraggio, tutti prego perché (…) in particolare le famiglie provate dal dolore trovino sempre sulle loro strade una comunità cristiana viva (…) che accoglie, cura, guarisce, consola, ridona speranza”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

20. Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi (Gv 15,9-11)

L'amore di Dio, potremmo dire, è in discesa, si abbassa sino a dare la vita per i propri amici. L'amore cristiano, infatti, non si edifica sulla volontà degli uomini bensì proviene come dono dall’alto. E' un amore totalmente gratuito, anzi: immotivato. Perciò, se vogliamo balbettare qualcosa dell'amore di Dio, se vogliamo dargli un volto e un nome, possiamo dire che l'amore è Gesù. L'amore è tutto ciò che Gesù ha detto, vissuto, fatto, amato, patito... L’amore è quello che lui ci dona attraverso i suoi testimoni.
Come San Filippo Neri, per esempio, il santo che oggi celebriamo.
Nella capitale operò così efficacemente da essere chiamato secondo apostolo di Roma e anche Santo della gioia.
Radunò attorno a sé un folto gruppo di ragazzi dando inizio all’Oratorio. La preghiera e lo svago ne erano i cardini.
Proverbiali restano i suoi detti: State buoni, se potete, o Ma va’ a morì ammazzato... per la fede!
Tra tutti gli edifici sacri a lui dedicati, se la memoria non mi inganna, ne ricordo uno singolare, a Triuggio.
In un appartamento di un condominio, è allestita dal 1975 una cappellina intitolata proprio a questo santo. Nella Comunità Pastorale S. Cuore di Triuggio - una tra le tante che sperimenta il lavoro d’insieme - questa chiesina resta quindi un simbolo.
L’amore pionieristico - veicolato anche da nuove modalità ecclesiali, come ci ricorda il santo odierno - non si ferma, dunque.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.


21. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando (Gv 15,12-17)

Gesù opera, in questo brano, un capovolgimento inatteso: dal rapporto padronale a quello comunitario. Grazie a Lui il servizio di ciascuno diventa così un servizio al prossimo che crea vincoli di amicizia con Dio. Esso quindi ha come obiettivo la comunione con Dio e con i fratelli. Uno dei servizi principali cui siamo chiamati è, certamente, quello della testimonianza.
E una categoria particolare di testimoni, oggi, vogliamo citare: le donne.
Tra i seguaci di Gesù ve ne sono varie e con funzioni di responsabilità. Alcune seguivano Gesù per assisterlo con le loro sostanze (Maria di Magdala, Giovanna, Susanna…) altre sono state con lui, a differenza dei Dodici, persino nell’ora della Passione. Una di queste è la Maddalena, che fu anche la prima annunciatrice del Risorto. Proprio a Maria di Magdala san Tommaso d'Aquino riserva la qualifica di apostola degli apostoli, dedicandole un lusinghiero pensiero: “Come una donna aveva annunciato al primo uomo parole di morte, così una donna, per prima, annunziò agli apostoli parole di vita”. Una lista al femminile, dicevamo, che con Paolo si farà ancora più lunga. E che la biblista, suor Elena Bosetti, commenta in questo modo: “Impressiona questo fitto elenco di collaboratrici. Dietro questi nomi ci sono volti e ruoli, soprattutto c’è amore e fatica: l’evangelizzazione fin dall’inizio è attività che vede le donne coinvolte in prima persona, con tutta la loro dedizione”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

22. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno pure voi (Gv 15,18-21)

In un mondo organizzato a partire dagli interessi privati, chi cerca di vivere l'amore sarà crocifisso. E' stato questo il destino di Gesù. Per questo, quando un cristiano è molto elogiato dai poteri del mondo - giornali e tv in primis - dovremmo sentirlo come un problema. Gesù ha scelto di separarci. Ed è basandoci su questa vocazione di Gesù che abbiamo la forza di sopportare la persecuzione, vivendo nella gioia nonostante le difficoltà. L'insistenza dei vangeli, nel ricordare le parole di Gesù, è un segno evidente che le prime comunità ebbero vita grama. Di una cosa però erano certe, e da qui traevano forza: Dio stava con loro. Anche oggi non mancano nel mondo situazioni simili.
Proprio recentemente padre Osorio Citora Afonso ha ricordato, per esempio, un gruppo di catechisti martirizzati in Mozambico sul finire del millennio.
Citando loro, cari ascoltatori, facciamo memoria di tutti quelli che la cronaca ci consegna quotidianamente. “I ribelli - ha raccontato il missionario - con brutalità condussero le famiglie lontano dal Centro (…) e dopo un doloroso interrogatorio cominciarono a uccidere tutti (…). Altri catechisti, vedendo la situazione (…), chiesero di poter pregare. Dopo pochi minuti di preghiera, i 23 catechisti furono uccisi. Il loro sacrificio non è stato inutile, “perché quel luogo oggi è il fulcro della Diocesi di Inhambane, dove si può toccare e vedere il piede, l'impronta della presenza di Dio”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

23. Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada (Gv 16,5-11)

Gesù sta per tornare al Padre e sente il bisogno di mettere in guardia i discepoli da due gravi tentazioni: lo sconforto e l'apostasia. I discepoli, infatti, sperimenteranno angoscia e sofferenza, ma la loro tristezza si trasformerà in gioia quando Gesù tornerà a prenderli con sé. Il cuore dei discepoli non deve quindi turbarsi per l'annuncio della partenza di Gesù perché egli ritornerà a loro mediante il suo Spirito. Una delle funzioni dello Spirito santo consiste nel convincere il mondo di peccato, di giustizia e di giudizio. Egli fornirà ai discepoli, nell'intimo della loro coscienza, la prova certa del peccato commesso dal mondo incredulo che ha rifiutato la rivelazione di Gesù.
Una precisazione sul non credente va però fatta. Incredulo non è il pagano, perché non ha nemmeno l'idea della fede cristiana; non è il giudeo, perché ha tutta la religione dell'Antico Testamento; non è l'eretico, avendo egli fede, seppur in una metà della verità cristiana.
L'incredulo, per esempio, è il greco che, dopo il discorso di Paolo, se ne va scrollando il capo, urtato nella sua ragione. Ed ecco dunque il grande scandalo dell'incredulità: ogni predicazione fa dei credenti, ma anche degli increduli. Gli ascoltatori si auto giudicano aderendo o rifiutando. Cristo e i suoi apostoli, da questo punto di vista, continuano la tradizione dei profeti, le cui parole producevano al contempo fede e incredulità.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.
24. Quando verrà lo Spirito, vi guiderà a tutta la verità (Gv 16,5-14)

Abbiamo già trattato diversi temi presenti in questa sezione. Una domanda però non abbiamo ancora esplicitato: perché lo Spirito fu inviato solo dopo la morte di Gesù? Il vangelo non dà ragioni. Mi piace pensare che ciò derivi probabilmente dal fatto che i discepoli sarebbero stati incapaci di comprendere l’avvenimento di Gesù senza prima averlo vissuto e sperimentato. Ancora una volta quindi il Signore offre, e non impone, la sua Grazia. Lo fa solo come risposta ad un desiderio sgorgato a seguito di un incontro.
Un incontro come quello dell’Agorà dei giovani che si terrà - per le diocesi lombarde - oggi e domani al Santuario di Caravaggio. All’appuntamento si arriverà camminando. Fino ai confini della terra, è il tema scelto. A partire da questa esperienza riflettiamo allora su tutte le forme di pellegrinaggio: sia quelli devozionali sia quelli sulle antiche vie. Mons. Marchetto, Segretario del competente pontificio consiglio, ad esempio, ne individua alcuni elementi comuni che così esprime: “Compito della Chiesa (…) è richiamare all’esperienza originaria del pellegrinaggio: quella cioè di un distacco dal quotidiano operare, per cercare di trovare la lunghezza d’onda del creato e il silenzio e la pace interiore. È una lenta ricerca in se stessi, un’esperienza difficile ma insostituibile: se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora, così il Santo Padre nella Spe salvi. E’ ancora vero”.
Abbiamo iniziato la giornata col piede giusto. Il Signore è con noi.

25. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito (Gv 14,15-20)

La Pentecoste chiude il Tempo di Pasqua. Il cero pasquale viene riposto. Se ne farà uso ordinariamente in due occasioni: la celebrazione del battesimo e le esequie dei defunti. La prima svolge per gli uomini la Grazia, le seconde invece la ricapitolano. Tra questi due estremi ci sta il Se mi amate, osserverete i miei comandamenti, come abbiamo ascoltato. Un invito alla coerenza che risuona ogni domenica, poiché ogni domenica è la Pasqua settimanale.
Dopo un mese passato insieme, mi piace congedarmi da voi, cari ascoltatori, allora, con una preghiera del cardinal Newman. La faccio mia. La faccio per voi.

Gesù, aiutami a diffondere ovunque il tuo profumo, ovunque io passi. Inonda la mia anima del tuo Spirito e della tua vita. Invadimi completamente e fatti maestro di tutto il mio essere perché la mia vita sia un'emanazione della tua. Illumina servendoti di me e prendi possesso di me a tal punto che ogni persona che accosto possa sentire la tua presenza in me. Guardandomi, non sia io a essere visto, ma tu in me. Rimani in me. Allora risplenderò del tuo splendore e potrò fare da luce per gli altri. Ma questa luce avrà la sua sorgente unicamente in te, Gesù, e non ne verrà da me neppure il più piccolo raggio: sarai tu a illuminare gli altri servendoti di me. Suggeriscimi la lode che più ti è gradita, che illumini gli altri attorno a me: io non predichi a parole ma con l'esempio, attraverso lo slancio delle mie azioni, con lo sfolgorare visibile dell'amore che il mio cuore riceve da te.
Amen.

26. Ordinò ai discepoli di precederlo sull’altra sponda (Mt 14,22-33)

Dopo che ebbe saziato la folla… Inizia così il vangelo di oggi. E’ un tempo felice. L’opinione pubblica apprezza Gesù e i discepoli. Il Maestro però sale sul monte a pregare e spinge gli apostoli a precederlo sull'altra riva: non vuole che si lascino travolgere dal successo. E, quando sono in mezzo al lago, arriva la tempesta. Inattesa, perché giunge nel momento della massima gioia, come spesso accade nella vita.
Al discepolo il dolore non è evitato. Ci sono momenti in cui abbiamo l'impressione di affondare: Dio sembra lontano. Ma proprio quando l'onda è alta, qualcosa accade. Gesù cammina sulle acque e ci ripete: Non abbiate paura. Israele è un popolo da terraferma: il mare in tempesta rappresenta un incubo per un ebreo. Gesù viene invece camminando sulle acque, padroneggiando proprio quelle paure che ci impediscono di gioire. Affidarsi a lui è l’unica soluzione.
Dietro l’angolo - di ogni famiglia, di ogni coscienza, di ogni comunità - può presentarsi la tempesta. Passeggera, oppure durevole. Tra le tante possibili, ne ricordo in particolare una, forse la più pesante da vivere in tempo estivo: quella che ha investito i malati lungo-degenti insieme alle famiglie che con dedizione li assistono. Una testimonianza, da parte di entrambi, paragonabile al martirio di san Lorenzo - il santo del giorno - che morì sulla graticola poco alla volta. Insieme con loro facciamo nostro allora sia il grido evangelico Signore, salvami, sia la professione di fede Tu sei veramente il Figlio di Dio.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

27. Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio? (Mt 17,21-26)

La cosiddetta tassa per il tempio era più un’usanza che una legge. L’importo era minimo e per questo la pagavano tutti. Secondo un’interpretazione dell’epoca si potevano imporre però solo le tasse citate dalla legge e questa non lo era. E’ possibile quindi che anche nella presente occasione Gesù sia stato messo alla prova per verificare il suo insegnamento.
Ma Egli si smarca e pur riconoscendo che, come figlio di Colui che abita il tempio, non avrebbe dovuto pagare la tassa, invita Simone a farlo in nome di entrambi. E’ Simone che compie il gesto, ma la somma deriva da un miracolo. Un intreccio non facile da sbrogliare, soprattutto in questo tempo di vacanza durante il quale vorremmo neppure pensare alle imposte, quali che siano. In particolare poi a quelle cui non saremmo tenuti (l’offerta deducibile, l’obolo al mendicante, ecc.). Il Vangelo però è esigente. Forse perché il tema di cui trattiamo appartiene al capitolo delle relazioni.
Il contribuente, in equa misura, pratica, infatti, sempre la virtù della solidarietà che è la manifestazione dell’amore di Dio. L’argomento del resto non è occasionale: nella Bibbia “tasse” e sinonimi compaiono ben 50 volte. La solidarietà, infatti, ci salva dal bruciante individualismo.
Lo ha sostenuto anche santa Chiara, di cui oggi festeggiamo il nome, nel suo testamento. Amandovi le une le altre della carità di Cristo - scrisse alle sue monache - dimostrate fuori per mezzo delle opere, l’amore che avete dentro (e…) provocate da tale esempio, le sorelle crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

28. Chi accoglie uno di questi bambini accoglie me (Mt 18,1-5.10.12-14)

Il Vangelo di Matteo contiene cinque grandi discorsi. Qui ci troviamo nel quarto, quello indirizzato ai discepoli. A differenza di Marco, Matteo non offre coordinate precise entro cui porre la scena. Ci troviamo quindi in un eterno presente. Si può supporre che essa sia stata motivata da una discussione tra i discepoli in merito alle gerarchie. A quanto pare le questioni circa le precedenze sono proprio vecchie quanto il mondo. Gesù comanda ai suoi responsabili di comunità di farsi come bambini. In particolare, della fanciullezza, egli sottolinea la dote dell’umiltà, che non significa sottovalutazione di se stessi. Il bambino, infatti, sa di essere quello che è, con le proprie doti e con la necessità di dipendere dai genitori per sopravvivere. Ciò vale, del resto, anche nel rapporto con Dio. Egli non vuole dei discepoli umiliati, ma umili. Egli non vuole dei discepoli solitari, bensì legati a Lui per riconoscenza più che per necessità. Questo è il legame sano promosso dal Vangelo. Un legame che fa crescere e non mortifica né l’adulto né il bambino.
Prendendo spunto da questa stagione però voglio ricordare, con dolore, un turpe fenomeno, legato all’infanzia, sul quale si sofferma pure il messaggio pontificio dell’ultima Giornata mondiale del turismo. Esiste, infatti, una moltitudine di uomini “normali“ (i pedofili sono solo il 3% del totale) che ogni anno si recano all'estero per praticare il turismo sessuale. Le statistiche parlano di 80mila italiani; in aumento grazie pure ai low cost. La parola di oggi non lascia scampo anche su questo fronte: guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli…
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

29. Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono lì (Mt 18,15-20)

La pagina che abbiamo ascoltato deve essere legata alla finale del brano letto ieri: Dio non vuole che si perda neppure uno solo di questi piccoli… I responsabili della comunità devono operare per questo, poiché nessuno sia estraniato dal gruppo dei credenti. Il metodo ordinario per risolvere le questioni, infatti, deve essere la correzione fraterna, non l’esclusione, anche se questa è contemplata come estrema ratio. L’accordo però è per tutti un dono da invocare non un puro esercizio diplomatico. E’ un orizzonte esterno a ciascun contendente. Ne è conferma l‘allusione alla preghiera comunitaria, il vero potere dei fedeli.
Anche l’orazione rabbinica muoveva dallo stesso concetto, ma al centro metteva solo la norma. Ecco un proverbio dell’epoca: “Dove sono due riuniti nello stesso studio della legge, la shekinà (la gloria di Dio) è in mezzo a loro”. Il Vangelo assume la tradizione ricevuta e la riconsegna, trasformata, con la novità di Gesù.
In cosa noi possiamo esercitare lo stesso metodo? Cosa potremmo comunitariamente invocare, in vacanza ma non solo? Credo che la custodia del creato, per esempio, sia un ambito da poter considerare. L’accordo tra gli uomini su questo punto sarebbe, infatti, sicuramente un’operazione spirituale come ha ricordato il Papa a Sydney: “(A noi spetta) dare gli impulsi essenziali (…) -ha detto- per essere capaci di rispondere a questa grande sfida: riscoprire nella Creazione la faccia del Creatore, riscoprire la nostra responsabilità davanti al Creatore per la sua Creazione”. Basterebbero due o tre riuniti nel suo nome per non fallire…
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

30. Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,21-19,1)

I numeri usati nella domanda di Pietro, e soprattutto nella risposta di Gesù, parlano di un perdono illimitato. Il lettore del Vangelo già conosce quest’invito poiché presente nella preghiera principe del Padre nostro incontrata qualche capitolo indietro.
Il modello di questo dialogo - ribaltato - è quello della vendetta del libro della Genesi (4,24): “Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette”. Il perdono, infatti, era umiliante per la tradizione. Gesù ne fa invece il suo messaggio cardine. Esso regola la convivenza tra gli uomini, poiché è la norma del rapporto tra Dio ed i suoi figli. Il debito che ciascuno di noi ha verso l’altro, e soprattutto verso Dio, è sempre elevatissimo, impagabile. Bisogna avere l’umiltà di riconoscerlo. Solo la pietà, la pietas, la fiducia reciproca possono colmare il divario.
In queste settimane di Olimpiadi non posso non ricorrere alle parole di uno sportivo per declinare il concetto evangelico.
Le parole sono quelle che Alessandro Bruno, campione di hockey in carrozzina, ha pronunciato qualche tempo fa davanti al Cardinale di Milano in un’occasione pubblica: “Credo che la fiducia c’entri anche con la mia fede, ha detto. Man mano che l’ho scoperta, ho sempre più avvertito che la fede è innanzitutto la fiducia che Dio ha di me. Sento forte il desiderio di trasmettere quella fiducia che anche io ho ricevuto come dono, e lo sport che faccio forse è anche un mezzo con cui avvicinare molte persone e trasmettere fiducia”.
Il perdono così parla di Vangelo anche dove il Vangelo non è sempre citato espressamente.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.


31. Benedetta fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo (Lc 1,39-56)

Il dogma dell’assunzione di Maria in cielo, in anima e corpo, ci sfugge. I suoi elementi sono termini quasi sconosciuti. Una sola parola capiamo bene: corpo.
Partiamo allora da qui. Ciò che viene affermato nella festa odierna, è una confessione di fede nel corpo e quindi nel futuro di questa realtà. La Chiesa con questo dogma ha innalzato un inno al corpo mettendolo in relazione col divino e riproponendo un’unità originaria. La fede cristiana è, infatti, per sua natura, (sono i verbi di Maria da Elisabetta) occhio che piange, mano che dona, piede che corre, orecchio che ascolta.
Sappiamo bene però che, soprattutto oggi, non è così. La scoperta della corporeità è, infatti, minacciata, poiché per poterla possedere - si crede - essa deve essere sganciata da ogni legame con la responsabilità e ridotta a semplice cosa. “Ma - scrive il Papa - è soltanto quando è riconosciuta la dignità umana del corpo che anche lo spirito conserva la sua caratteristica densità umana”. Assunzione, per i cattolici; dormizione, per i fratelli ortodossi che celebreranno tra qualche giorno una medesima ricorrenza. Una festa anche ecumenica quindi.
Lasciamoci guidare perciò da Sergej Bulgakov, iniziando la nostra speciale giornata. Scrive: “In lei la creatura è divenuta interamente trasparente per il Creatore. La Madre di Dio non ha perso la sua natura creata, non si è separata dal mondo che ha glorificato attraverso di lei. Ella è il mondo, perché rimane in unione con esso: nella tua assunzione, o Madre di Dio, non hai abbandonato il mondo. Testimoniano ciò tutte le apparizioni della Madre di Dio”.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

32. Furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani (Mt 19,13-15)

L’imposizione delle mani e la benedizione dei bambini era cosa comune a quei tempi. Lo facevano i genitori e spesso si richiedeva anche ai rabbini famosi. Abbiamo già meditato qualche giorno fa un brano relativo ai bimbi. Là però la loro figura era presa a pretesto per suggerire un atteggiamento tipico d’ogni credente. Qui invece i bambini sono citati per se stessi, per la propria appartenenza al Regno. I teologi insegnano che l’evangelista in questo contesto probabilmente sta riferendosi alla possibilità del battesimo amministrato ai piccoli. La chiave del brano risiede quasi certamente, infatti, nell’espressione letterale “non vogliate impedirgli”. La sentenza di Gesù giustificherebbe quindi il battesimo dei neonati. Una prassi che collega la volontà divina a quella genitoriale. “Furono portati a Gesù dei bambini”, abbiamo letto. Facile immaginare che siano stati i genitori ad accompagnarli. La riflessione sulla trasmissione della fede - tema che la Chiesa sta meditando in questi anni - trova allora qui un appoggio saldo. Una trasmissione, in realtà, circolare. Anche gli adulti, infatti, possono riappropriarsi della fede presentando i propri figli al Signore.
Celebrando quest’anno l’elezione dei catecumeni, il Card. Tettamanzi ha condiviso con i presenti questa confidenza giuntagli per lettera da Patrizia, di Trezzano sul Naviglio: “Con la nascita e il Battesimo della nostra prima bambina ci siamo avvicinati alla Chiesa, scrive la mamma; era quindi arrivato il momento di conoscere Dio e di adoperarsi per diventare finalmente anch’io sua Figlia”.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

33. Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri (Mt 15,21-28)

Possono i non giudei, i pagani, accedere alla salvezza? L’azione, molto complessa, è causata in realtà, di là dal racconto, da questa semplice domanda sottotraccia. Il Signore sostiene così che non possiamo escludere, secondo i nostri criteri di giudizio, coloro che non hanno condiviso con noi la stessa storia di vita. Il criterio generale per l’appartenenza al popolo di Dio è, infatti, la fede e basta. Ad essa si giunge però anche attraverso l’accoglimento di richieste molto umane, seppur non solo.
Non è sempre facile per molti accogliere chi è diverso e qualche volta si assecondano gli altri non per cordiale apertura, o per sincera voglia di condivisione, ma per liberarsi di una presenza fastidiosa: vedi come ci grida dietro!, dicono i discepoli.
Tutto si complica poi, quando pare che Gesù non ci rivolga neppure la parola, mentre gridiamo a lui tutto il nostro dolore. E così non riusciamo nemmeno ad accorgerci che, silenziosamente, egli aveva già accolto il nostro grido. Gli mancava solo la professione di una fede sincera: quella che riconosce al Padre la volontà di donare ai figli un intero pane e non solo le briciole.
In questa cornice mi piace ricordare l’opportunità offerta al nostro territorio dall’Expo 2015. Nutrire il pianeta, energia per la vita è il motto della kermesse. I credenti sanno, come ricordavo in apertura, che questo percorso è vero; così come sanno che l’energia più potente non si esaurisce nei confini del globo. Testimoniamo pertanto la nostra fede, il resto ci sarà donato certamente.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

34. Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? (Mt 19,16-22)

E’ l’unica volta che in tutto il Nuovo Testamento Gesù viene chiamato buono. Egli si schermisce e gira quest’appellativo a Dio Padre quasi a rimarcare pure la sua relatività ad un disegno che lo trascende. Gesù risponde elencando alcuni comandamenti ai quali aggiunge il precetto dell’amore al prossimo considerato come il riassunto più perfetto della legge. Il giovane risponde che questo già lo fa. Ecco allora che Gesù non aggiunge altri compiti, ma rende partecipe l’interlocutore del progetto celeste: la perfezione, come Dio è perfetto, e la vita eterna. C’è un salto di qualità. Il giovane è così considerato non come un esecutore della volontà divina bensì come un collaboratore, un corresponsabile del possibile esito del Regno. Al ragazzo pare eccessivo il prezzo che deve pagare. Egli era abituato a scindere il fare dall’essere. Ad allargare il cordone della propria borsa non quello del proprio cuore. Guardandoci attorno, anche in questi giorni di vacanza, scorgiamo che le cose non sono poi tanto cambiate in duemila anni. La generosità c’è, anche nei più giovani. Manca però l’orizzonte cui appendere tanto sforzo. Non manca il dono, manca il donarsi, anticipazione della relazione eterna. Così spiega - per esempio - p. Raniero Cantalamessa: “Tutto ciò che non è donato è perduto, perché, essendo noi destinati a morire, morirà con noi tutto quello che abbiamo conservato fino all’ultimo, mentre ciò che si dona è sottratto alla corruzione e - per così dire - spedito avanti nell’eternità”. Ciò è vero per le cose, ma lo è di più per la nostra persona.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

35. E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago (Mt 19,23-30)

Ci imbattiamo quest’oggi nel famoso proverbio del cammello e della cruna dell’ago. Il detto non parla di difficoltà, ma di vera impossibilità per chi volesse entrare nel Regno partendo da questa posizione. L’espressione è riferita soprattutto ai ricchi, poiché questi si possono illudere di avere i mezzi per raggiungere da sé il Cielo. Una tentazione - attendere o ricercare una salvezza esclusivamente quantitativa - che però appartiene a tutti e non solo ai benestanti. Gesù non disprezza questa dimensione, anzi promette egli stesso il centuplo. Ma offre in aggiunta la chiave interpretativa di ogni dono: la vita eterna. Parla a tal proposito di “eredità” sia per mantenere il vocabolario economico sia per riproporre l’idea fondamentale: ogni eredità, infatti, suppone una divisione, una ridistribuzione del capitale iniziale. Ancora una volta quindi il legame, la solidarietà, la relazione fanno da discrimine. Lo sanno bene i missionari, per esempio. A distanza di 50 anni rileggiamo allora la lettera Fidei donum di Pio XII: “Sarebbe sincera una preghiera per la Chiesa Missionaria, scriveva il Papa, se non fosse accompagnata (…) da un gesto di generosità? Con il denaro che il cristiano spende talora per gusti passeggeri, quanto non farebbe un missionario, paralizzato nel suo apostolato, per mancanza di mezzi! È necessario, dunque, che ogni figlio della Chiesa, ogni famiglia (…) facciano a questo riguardo un diligente esame di coscienza”. Le ferie potrebbero servire allo scopo.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.

36. Disse al suo fattore: chiama gli operai e da’ loro la paga (Mt 20,1-16)

La parabola della ricompensa uguale per un lavoro disuguale rimanda alla relazione con la Salvezza più che alla contrattazione padronale. Il livello è principalmente spirituale. Lo scandalo dei lavoratori, infatti, è causato dalla bontà del proprietario e non dalla sua ingiustizia. Il confronto è saltato, poiché a guidarlo è l’invidia per il simile e non la parola osservata dal datore di lavoro.
Che il salario dato agli ultimi sia sproporzionato è cosa riconosciuta in prima persona dal possidente: io sono buono. Nessuno quindi può vantare una regolarità di comportamento automaticamente premiabile. La giustizia di Dio è, infatti, la misericordia.
Il brano però ci permette di accennare - anche se solo sommariamente - al mondo del lavoro così come lo conosciamo noi oggi. L’ultimo convegno della Chiesa italiana a Verona ne ha fatto un capitolo di discussione intitolato: il lavoro e la festa. Si è detto là, tra l’altro: “Il mondo del lavoro e la prospettiva della festa, nel mondo contemporaneo, stanno cambiando radicalmente. Il lavoro si fa più precario, la disoccupazione non riesce a diminuire (…). Anche il tempo ha assunto significati nuovi (…) così è mutato il senso dato al tempo libero e al tempo del riposo, anche il significato della domenica e della Festa è andato in gran parte perduto”.
Una parola di solidarietà, in particolare, la riserviamo oggi a quanti sono disoccupati, poiché tale condizione, più di altre, mortifica la speranza. Ed una società senza speranza è antievangelica.
Lo Spirito ci conceda una buona giornata.



Indice

Prefazione
Introduzione
1. Chi cerca la gloria di colui che lo ha mandato è veritiero (Gv 7,14-24)
2. Chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete (Gv 7,25-31)
3. Ancora per poco sono con voi. Dove sono, non potete venire (Gv 7, 32-36)
4. Glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te (Gv 17,1b-11)
5. Quando avrete innalzato il Figlio, conoscerete che Io Sono (Gv 8,21-30)
6. Non ti lapidiamo per un’opera, ma per una bestemmia (Gv 10,31-42)
7. Chi ama la propria vita la perde, chi la odia la conserverà (Gv 12,20-28)
8. Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi (Gv 15,9-17)
9. Non sono venuto per condannare, ma per salvare il mondo (Gv 12,44-50)
10. Un servo non è più grande del suo padrone (Gv 13,12a.16-20)
11. Chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio (Gv 15,26-16,4)
12. Come io ho amato voi, amatevi anche voi a vicenda (Gv 13,31-36)
13. Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e in me (Gv 14,1-6)
14. Filippo, chi ha visto me ha visto il Padre (Gv 14,7-14)
15. Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! (Lc 24,36b-53)
16. Vi lascio la pace, vi do la mia pace (Gv 14,27-31a)
17. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto (Gv 15,1-8)
18. Padre, non prego che tu li tolga dal mondo (Gv 17,11-19)
19. Possono gli invitati essere in lutto finché lo sposo è con loro? (Mt 9,14-15)
20. Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi (Gv 15,9-11)
21. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando (Gv 15,12-17)
22. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno pure voi (Gv 15,18-21)
23. Ma io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada (Gv 16,5-11)
24. Quando verrà lo Spirito, vi guiderà a tutta la verità (Gv 16,5-14)
25. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito (Gv 14,15-20)
26. Ordinò ai discepoli di precederlo sull’altra sponda (Mt 14,22-33)
27. Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio? (Mt 17,21-26)
28. Chi accoglie uno di questi bambini accoglie me (Mt 18,1-5.10.12-14)
29. Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono lì (Mt 18,15-20)
30. Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette (Mt 18,21-19,1)
31. Benedetta fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo (Lc 1,39-56)
32. Furono portati dei bambini perché imponesse loro le mani (Mt 19,13-15)
33. Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri (Mt 15,21-28)
34. Che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna? (Mt 19,16-22)
35. E’ più facile che un cammello passi per la cruna di un ago (Mt 19,23-30)
36. Disse al suo fattore: chiama gli operai e dà loro la paga (Mt 20,1-16)

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