Cinquecento pellegrini della diocesi ambrosiana a Torino in occasione della esposizione della S. Sindone e del
Bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco.
Fotogallery (18 foto) della Santa messa, nella
Basilica di S. M. Ausiliatrice, presieduta dal Vicario generale di
Milano, S.E. Mons. Mario Delpini.
Da quando si è aperto il
calendario straordinario per l'Ostensione della Sindone «ogni
giorno arriva qualche gruppo da Milano»,
ci confermano dall'ufficio prenotazioni piemontese.
Quest'anno, poi,
all'appuntamento in Duomo si aggiunge la
ricorrenza del bicentenario
della nascita di San Giovanni Bosco.
Entrambe le occasioni
hanno un aggancio non estrinseco con la diocesi ambrosiana, spingendo
molte persone a recarsi volentieri e quasi naturalmente sotto la
Mole.
La Sindone, infatti, si
trova a Torino in ragione di un pellegrinaggio intrapreso da S.
Carlo. Negli ultimi tempi della sua vita, già malato, egli volle
adempiere ad un voto. La nobile famiglia proprietaria della reliquia,
per andare incontro al vescovo milanese, portò allora il Sacro telo
a metà strada tra la Savoia e Milano: Torino. Dove rimase.
Quanto al legame tra i
figli di Ambrogio e don Bosco non c'è bisogno di dilungarsi. Gli
oratori riempiono la vita quotidiana di ogni parrocchia lombarda. Il
Santo torinese quindi, in questi ambienti, non solo è citato ma
vissuto.
Ciò che abbiamo
ricordato sin qui ha trovato conferma anche nei cinquecento
pellegrini della diocesi di Milano che si sono recati a Torino
giovedì 28 maggio u.s. Li ha guidati Mons. Mario Delpini, Vicario
generale di Milano, insieme ad una decina di preti.
I fedeli provenivano
dalle parrocchie del decanato di Besozzo, di Giussano, di Turro, di
Villa Cortese. C'era anche un gruppo di pellegrini individuali, tra
cui spiccava una rappresentanza della pastorale del lavoro della
Polizia locale di Milano.
Dopo la preghiera davanti
alla Sindone, nel Duomo cittadino, e la spiegazione della vita di don
Bosco attraverso la visita all'opera di Valdocco, la giornata si è
conclusa con una Santa Messa, nella Basilica di S. M. Ausiliatrice,
presieduta da S.E. Mons. Mario Delpini.
Nella omelia il vescovo
ha invitato a porsi una domanda precisa: “Dove stai guardando? Per
capire dove vivi, al di là delle etichette che altri hanno attaccato
su di te; per andare oltre le tue esibizioni. Dove stai guardando?”.
Consapevoli che c'è un modo di vedere persino “malato, infelice,
spaventato” dal quale prendere le distanze.
“C'è uno sguardo
distratto, ha detto in apertura Delpini, che guarda tutto, ma non si
ferma su niente. Come fanno certi turisti quando visitano le città
senza capire. Oppure per alimentare le chiacchiere, per raccogliere
elementi per il pettegolezzo”.
E c'è anche lo sguardo
che rifugge la responsabilità. Quello, secondo il Vicario, che “non
vuole fastidi. Scappa dai problemi. Volge lo sguardo dall'altra
parte, impaurito dalle possibili conseguenze della prossimità.
Giustificando questo atteggiamento col fatto di non avere tempo,
oppure perché sfiduciato nel vedere che niente può servire”.
Tra l'elenco dei malati
non manca, ha continuato il Pastore milanese, la voce definibile come
“sguardo ripiegato su di sé. Di chi davanti allo specchio si
compiace delle proprie capacità. Oppure si deprime guardando solo
alle proprie brutture”.
Così come è deficitario
pure lo “sguardo dipendente, in attesa. Quello di chi guarda
l'orologio in attesa di qualcuno che verrà. Ponendo il proprio
presente alle dipendenze di chi dovrà arrivare”.
Ma se le storture sono
molteplici il rimedio è unico, come ha richiamato il vice del
Cardinal Scola: “Il nostro pellegrinaggio di oggi ha volto lo
sguardo infatti alla Sindone. Siamo venuti ad invocare la guarigione
del nostro sguardo. Per chiedere uno sguardo di fede, che è
atteggiamento di chi risponde ad una promessa affidabile nella
persuasione che dall'Uomo del dolore viene a noi la consolazione”.
Ecco, ha concluso
Delpini, “chi guarda la Sindone non fa solo un gesto fisico.
Richiama la beatitudine evangelica che benedice i puri di cuore
perché vedranno Dio. Questa visione sconfigge l'idea di un Dio che
fa paura. Dove, del resto, si vede Dio? Nel Cristo crocefisso.
Sentiamo così l'invito al pentimento e alla conversione. Anche
perché Cristo ha sofferto, ma è risorto. E chi guarda a Gesù si
accorge di esser guardato da lui da chissà quanto tempo”.
Massimo Pavanello
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