La presenza di stranieri
alla Messa festiva è una scena consolidata in qualsiasi parrocchia
italiana. Per questo la scorsa domenica - quando un senegalese mi ha
avvicinato - ho ingranato la marcia dell'approccio di routine.
Sbagliando.
Il primo indizio del mio
errore l'ha segnalato il vocabolario. Il giovane ha detto di parlare
solo malinké (una lingua comune dell'Africa Occidentale) oppure,
francese. Brancolando nel buio con l'una e preso dal panico con
l'altra, mi è parso che l'idioma
europeo mi desse più sicurezza
psicologica. E così abbiamo iniziato il dialogo.
Ho appreso che il mio
interlocutore risiede a Bresso, nel Centro di accoglienza profughi
gestito dalla Croce Rossa. La struttura è a due passi da casa mia.
Con un testimone come
quello che avevo di fronte, l'hybris giornalistica si è impossessata
di me. E qui stavo cadendo nel secondo errore. Fortunatamente
l'irrazionale forza si è spenta pressoché subito. Allorquando ho
raccolto la richiesta del singolare fedele: confessarsi.
A lui non interessava
raccontarmi le sue vicissitudini. Non ricercava consolazione umana.
Non invocava aiuti materiali. Chiedeva “solo” un confronto di
coscienza col Padreterno, quello che gli antichi moralisti
circoscrivevano nel “foro interno”.
Dopo averlo ascoltato
l'ho assolto, senza aggiungere alcun fervorino. Sia perché, come
detto, il mio francese non lo permetteva, sia perché la presenza
della Grazia non aveva bisogno di essere svelata oltre.
Per tutto il giorno sono
rimasto con questa scena davanti agli occhi. E con un grumo di
pensieri nel cuore: un rifugiato cattolico; un sopravvissuto alla
vita fisica che elemosina un dono spirituale; un “uomo in transito”
(purtroppo di passaggio anche in non poche distratte comunità
parrocchiali) che cerca una chiesa per ritrovare le sue radici,
facendo lì memoria della sua dignità.
Un'eccezione? Se anche
fosse, suonerebbero comunque almeno parziali certe parole sugli
immigrati visti come categoria, fascio, e non come singole persone;
ridotti ad una dimensione.
I bisogni fisici e quelli
spirituali non sono due facce della stessa medaglia. Sono due metalli
che formano la “lega umana”. Inseparabili. Pena, l'impoverimento
di ciascun singolo elemento.
Questo mio testo è stato già pubblicato pure su www.vinonuovo.it
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