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“Cristiani, pregate in moschea”

In Giordania, al forum cattolico-musulmano, viene citato un episodio “ecumenico”. Maometto invitò i cristiani di Najran a pregare nella sua moschea prima di intraprendere un dialogo con loro.

«Anche il profeta Maometto invitò i cristiani a pregare in una moschea prima di incontrarli». Tra le tante parole pronunciate nella tre giorni del secondo Forum cattolico musulmano - riunitosi nei giorni scorsi in Giordania presso il Sito del Battesimo di Gesù (luogo santo cristiano rilanciato in questi ultimi anni da un governo musulmano) - è stata probabilmente questa frase pronunciata dal principe
giordano Ghazi bin Muhammad bin Talal quella più sorprendente. Una citazione riferita a un episodio narrato dalla Sunna con protagonisti i cristiani di Najran, un'oasi della Penisola arabica. E proposta nel contesto di un incontro con personalità provenienti anche da Paesi in cui un gesto del genere oggi scatenerebbe un vero e proprio putiferio.
Erano quarantotto i presenti - per metà cattolici e per l'altra musulmani - all'appuntamento giordano pensato come la prosecuzione del primo incontro svoltosi a Roma nel novembre 2008. Un Forum nato nel solco del percorso avviato un anno prima dalla lettera A Common Word («Una parola in comune»), firmata da 138 personalità islamiche sul tema del dialogo con il mondo cristiano. Da parte cattolica la delegazione in Giordania era guidata dal cardinale Jean-Luis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso ma comprendeva anche rappresentanti di alcune Chiese del Medio Oriente e del Nord Africa (tra gli altri il patriarca di Gerusalemme Fouad Twal, il vescovo caldeo di Aleppo Antoine Audo, quello di Constantine in Algeria Paul Desfarges, il vicario apostolico per il Sud dell'Arabia Paul Hinder) e un nutrito gruppo di studiosi dell'islam e di filosofi cristiani. Anche da parte musulmana, però, la delegazione - guidata dal principe Ghazi, padrone di casa - era di carattere internazionale: tra i nomi più noti quelli del Gran Muftì d'Egitto Ali Guma'a, del Gran Muftì della Bosnia Mustafa Ceric, dello shaykh saudita Abdullah bin Bayyah, dell'intellettuale libico Aref Ali al-Nayed, del professor Abdulaziz bin Uthman Altwaijri, direttore generale dell'Isesco in Marocco.
Il tema scelto per questa seconda edizione del Forum era «Ragione, fede e persona umana: prospettive cristiana e musulmana». Un tema prettamente filosofico. E proprio su questo piano si concentra la dichiarazione condivisa diffusa al termine dei lavori. Un breve testo in cinque punti in cui si afferma che «Dio ha donato agli uomini la ragione per riconoscere la verità» e che l'uomo a Lui fedele ha il suo centro in un cuore puro in cui «fede, ragione e compassione si incontrano nell'adorazione di Dio e nell'amore del prossimo». Per cui «la dignità donata da Dio agli esseri umani deve essere rispettata da tutti e protetta dalla legge» e il rapporto tra i credenti deve essere animato da «rispetto e compassione reciproca». Mentre il dialogo tra cristiani e musulmani deve proseguire come «via per promuovere la comprensione reciproca e far progredire il bene comune di tutta l'umanità, specialmente la sua sete di pace, giustizia e solidarietà».
Obiettivi alti, dunque. Che passano però anche attraverso preoccupazioni molto concrete nel Medio Oriente di oggi, scosso dal vento della primavera araba, come i partecipanti hanno avuto modo di sottolineare anche nell'incontro avuto durante i lavori con il re di Giordania, Abdallah II. E proprio in questo contesto diventano - allora - interessanti le parole pronunciate dal principe Ghazi a cui facevamo riferimento all'inizio. Perché toccano un nervo scoperto in alcuni Paesi musulmani: la questione dei luoghi di culto cristiani. Sottolineando il fatto che il Sito del Battesimo di Gesù (dove si è riunito in questi giorni il Forum) è «un luogo santo sviluppato, alimentato e protetto da musulmani per i cristiani», nel suo saluto introduttivo il primo firmatario della lettera dei 138 ha detto testualmente: «I nostri colleghi cristiani forse non sanno che noi musulmani abbiamo imparato a comportarci così da quanto leggiamo nella Sunna sul profeta Maometto, che invitò i cristiani di Najran a pregare nella sua moschea prima di intraprendere un dialogo interreligioso con loro».
C'è da chiedersi se siano solo i «colleghi cristiani» a non saperlo. E se quel riferimento ben preciso alla Sunna - per il mondo islamico sunnita la fonte più importante subito dopo il Corano - non fosse rivolto soprattutto a qualcun altro. Perché il precedente storico stando al quale il Profeta avrebbe permesso ad alcuni cristiani di riunirsi a pregare dentro a una moschea, è ignorato anche dalla stragrande maggioranza dei musulmani. Va poi specificato che quelli di Najran al tempo di Maometto erano la più importante comunità cristiana dell'Arabia. E che la moschea in cui li invitò a pregare era quella di Medina. L'episodio storico in questione è comunque complesso: perché è vero che subito dopo il gesto ricordato dal principe Ghazi fu firmato un accordo - il trattato di Najran - in cui  Maometto diceva «i cristiani sono miei cittadini» e «le loro chiese devono essere rispettate». Ma va ricordato anche che non durò molto: siccome poi «resistevano» alla predicazione dell'islam, già al tempo del califffo Omar i cristiani di Najran cominciarono a essere espulsi dalla Penisola arabica, proprio in nome della santità della Mecca e di Medina.
Resta però il fatto che la citazione della preghiera dei cristiani in moschea - accostata alle cinque chiese (latina, copta, armena, ortodossa russa e anglicana) attualmente in costruzione nel sito giordano del Battesimo di Gesù - suona come una presa di posizione a favore dei luoghi di culto cristiani anche fuori dalla Giordania. A questo punto sarebbe molto interessante sapere che cosa ne pensano i wahhabiti sauditi.

GIORGIO BERNARDELLI
Vaticaninsider

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